Salute

Coronavirus: quattro cose che abbiamo imparato dall'influenza spagnola

Nel pieno dell'epidemia da nuovo coronavirus, la storia della scienza guarda a un'altra, terribile pandemia, e alle lezioni che abbiamo imparato da essa.

Un centinaio di anni fa, il mondo che si stava riprendendo dalla brutalità della Prima Guerra Mondiale si ritrovò ben presto "in trincea" contro un nemico invisibile e letale: l'influenza spagnola, la prima pandemia moderna causata dal virus H1N1, che tra il 1918 e il 1919 uccise tra i 50 e i 100 milioni di persone. Mentre cerchiamo di orientarci tra le notizie sull'attuale pandemia da COVID-19, assai meno estesa e meno letale, ci sono alcune considerazioni utili che abbiamo imparato dalla spagnola e che ben si applicano alla situazione odierna.

Il rischio polmonite. Nei casi più gravi di COVID-19, così come di influenza spagnola, la morte sopraggiunge e sopraggiungeva spesso a causa della polmonite. Il coronavirus SARS-CoV-2 può raggiungere le vie aree profonde fino a danneggiare i polmoni e interferire con la corretta ossigenazione del sangue, mentre il sistema immunitario è già da giorni impegnato a contrastare il patogeno. Le persone più deboli di salute e con difese più compromesse, come gli anziani, sono più suscettibili alle infezioni che possono causare polmonite.

Nessuno è immune. Nessun Paese può sperare - realisticamente - di non essere toccato dalla COVID-19: come vanno ripetendo gli scienziati dell'OMS, non è questione di se, ma di quando. Nel 1918 il trasporto aereo era appena agli esordi, e l'influenza spagnola impiegò più tempo a diffondersi per il Pianeta. In alcuni luoghi arrivò dopo mesi, viaggiando in traghetto o in ferrovia, ma alla fine poche realtà furono realmente risparmiate. Una di queste fu - racconta BBC Future - la comunità di Bristol Bay, in Alaska, che in risposta all'epidemia chiuse le scuole, bandì ogni occasione di pubblica socialità e isolò la sua principale strada di accesso al resto del mondo. Misure di contenimento dal sapore di nuovo familiare, in questo inizio 2020.

Virus diversi prendono di mira fasce di popolazione diverse. Anche i giovani possono sviluppare sintomi gravi da COVID-19, ma la popolazione anziana è considerata quella maggiormente a rischio di contrarre forme serie della malattia. L'efficienza del sistema immunitario va generalmente sfumando con l'età: questa caratteristica è un fattore di rischio nel caso del nuovo coronavirus e lo è con molte altre malattie, ma paradossalmente risultò protettiva negli anni dell'influenza spagnola.

Quel ceppo di H1N1 colpiva in maniera talmente violenta e repentina da scatenare, nei sistemi immunitari più giovani e reattivi, una tempesta di citochine (molecole proteiche che inducono le cellule a resistere alle infezioni).

Questa reazione incontrollata inondava di fluidi i polmoni costruendo la base per nuove infezioni e ostruendo le vie respiratorie. Persone con un sistema immunitario più debole, come gli anziani, ebbero reazioni immunitarie meno eccessive e furono meno interessate da casi gravi; la fascia anziana della popolazione era inoltre sopravvissuta a un simile ceppo di influenza circolato negli anni Trenta del 1800, ed era forse protetta da una forma parziale di immunità.

L'importanza dei sistemi sanitari pubblici. La pandemia di influenza spagnola contribuì a rafforzare l'idea della necessità di sistemi sanitari pubblici: in molti luoghi, ieri più di oggi, solo le persone più facoltose potevano permettersi di farsi curare. Ma come stiamo vedendo in queste settimane, i virus colpiscono in modo "democratico", senza distinzioni di reddito e nazionalità: non possiamo permetterci che qualcuno che teme di avere i sintomi del nuovo coronavirus continui a lavorare perché senza assicurazione sanitaria, perché nel suo Paese si pagano cure e tamponi o perché rischia di perdere il lavoro.

7 marzo 2020 Elisabetta Intini
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