Il nuovo virus in Cina rappresenta un'emergenza globale, o meglio, un'emergenza internazionale di salute pubblica (Public Health emergency of International Concern, PHEIC). La decisione proclamata il 30 gennaio da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, mentre la Cina raggiunge i 9.658 casi di contagio confermati (e 213 decessi: qui i numeri dell'infezione aggiornati in tempo reale).
Verso aree più fragili. La decisione - che secondo alcuni epidemiologi arriva in ritardo, dopo una prima "occasione mancata" il 23 gennaio - è stata presa all'indomani della conferma che 18 altre nazioni hanno riportato casi di infezione. Per lo più si tratta di viaggiatori provenienti dalla Cina, ma ci sono stati anche sette casi di trasmissione da uomo a uomo avvenuti fuori dal Paese. Nella serata del 30 gennaio è arrivata la conferma dei primi due pazienti contagiati italiani.
«La nostra maggiore preoccupazione è la possibilità che il virus si diffonda in nazioni con sistemi sanitari più fragili, impreparate ad affrontarlo» ha detto Ghebreyesus. Che non ha mancato di elogiare gli sforzi di contenimento messi in campo dalla Cina, e ha aggiunto che questo è «il momento della solidarietà e non della stigmatizzazione».
La definizione di emergenza globale. La PHEIC è un "evento straordinario" che viene formalizzato a condizione che: esso costituisca un rischio per la salute pubblica anche per altri Stati, attraverso la diffusione internazionale della malattia; e che richieda potenzialmente una risposta internazionale coordinata. Per definizione, un'emergenza internazionale di salute pubblica (sia essa un'infezione virale o una minaccia per la salute costituita, per esempio, da un disastro nucleare), implica una situazione «seria, improvvisa, inusuale o inattesa, che abbia implicazioni per la salute pubblica al di là dei confini dello stato affetto, e che richieda un'immediata azione internazionale».
Si tratta di una sorta di campanello d'allarme globale che non è legalmente vincolante per gli Stati ma ha lo scopo di intensificare gli sforzi di coordinamento nella ricerca scientifica sul virus (per conoscerne l'origine e mettere a punto un possibile vaccino), nella sorveglianza dei contagi e nella pronta risposta a eventuali focolai. La dichiarazione di emergenza globale è anche e soprattutto un invito alla trasparenza: l'OMS ha chiarito che nuovi casi potrebbero emergere ovunque nel mondo e ha chiesto di isolare prontamente le persone infette e riportare tutte le informazioni necessarie all'organizzazione (questo secondo punto - sulla comunicazione - è invece legalmente vincolante).
Se il nuovo coronavirus raggiungesse un Paese densamente popolato e con un sistema sanitario farraginoso, in cui le condizioni di salute sono mediamente più compromesse, la conta dei decessi potrebbe crescere in modo drammatico.
Quali provvedimenti? La dichiarazione notifica ai membri delle Nazioni Unite che il maggiore organo di salute pubblica mondiale ritiene la situazione "seria": ogni nazione può a quel punto decidere di aumentare la sorveglianza alle frontiere, cancellare i voli per le aree interessate, effettuare programmi di screeening o prendere altre misure. Dopo la decisione di ieri, l'Italia ha sospeso il traffico aereo con la Cina, anche se «il Comitato non raccomanda alcuna restrizione di viaggio o commercio in base alle informazioni attualmente disponibili». Quella per il nuovo coronavirus è la sesta PHEIC dal 2009 ad oggi: prima d'ora sono state dichiarate emergenza globale l'influenza suina (2009), la polio (2014), Ebola (2014), Zika (2016), Ebola in Congo (giugno 2019).
Lo status di PHEIC è temporaneo e le raccomandazioni fornite richiedono una revisione ogni almeno tre mesi. Nel verbale finale della riunione di emergenza, l'OMS ha scritto che «dovrebbe continuare ad esplorare l'opportunità di creare un livello di allerta intermedio tra le possibilità dicotomiche di PHEIC e non PHEIC»: come a dire che sarebbe opportuno poter ricorrere a gradazioni di allerta più sfumate.