A mettere in fuga il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 potrebbe essere un muggito: non uno qualunque, ma quello di alcune mucche geneticamente modificate per produrre grandi quantità di anticorpi efficaci contro il patogeno della COVID-19. Una compagnia di biotecnologie, la SAb Biotherapeutics (South Dakota, USA), è da tempo interessata al potenziale degli anticorpi prodotti dai bovini contro i coronavirus più pericolosi per l'uomo. L'idea è di trasformare alcuni di questi animali in grossi bioreattori capaci di produrre una vasta gamma di difese immunitarie da utilizzare come cura o prevenzione delle infezioni.
Perché proprio i bovini? L'approccio, in uso da una ventina d'anni, consiste nell'alterare il DNA di alcune vacche da latte in modo che certe loro cellule immunitarie ospitino le sequenze genetiche che permettono al corpo umano di creare anticorpi. Così, quando entrano in contatto con gli antigeni dei virus - in questo caso la proteina "spike" del coronavirus SARS-CoV-2 - i bovini producono grandi quantità di globuli bianchi umani. In genere per realizzare anticorpi nella ricerca farmacologica si utilizzano colture cellulari o piante di tabacco, che hanno un sistema di sintesi delle proteine particolarmente adatto; l'idea di chiedere l'aiuto delle vacche è nata perché il sangue di questi bovini ospita due volte la quantità di anticorpi per millilitro rispetto a quello umano. Come spiegato su Science, in un mese, uno di questi animali può produrre anticorpi a sufficienza per trattare diverse centinaia di pazienti.
Attacco su più fronti. Un altro vantaggio degli anticorpi così prodotti è nella varietà. Di recente hanno suscitato speranze gli studi sugli anticorpi monoclonali, proteine sintetizzate in laboratorio e specializzate nel neutralizzare un unico, specifico antigene virale, che vengono clonate in grandi quantità a partire da uno stesso "stampo"; quelli "coltivati" nelle mucche sono invece anticorpi policlonali, una miscela di anticorpi geneticamente diversi capaci di riconoscere parti diverse del virus. Questo tipo di risposta è più potente e più simile a quella fornita naturalmente dal sistema immunitario, e potrebbe rimanere efficace anche in caso di mutazione del virus.
Un doppio stimolo. Quando è esplosa la pandemia l'azienda biotech, che aveva già creato anticorpi policlonali contro il coronavirus della MERS, è stata in grado di avviare la produzione di anticorpi contro il SARS-CoV-2 in 7 settimane. Il metodo non prevede che gli animali vengano infettati, ma che ricevano due iniezioni che funzionano in modo simile ai vaccini: la prima basata su una porzione del genoma virale per attivare il loro sistema immunitario e la seconda contenente un frammento di spicola, la proteina superficiale che il coronavirus usa per entrare nelle cellule.
I prossimi passi. Quando gli anticorpi prodotti sono stati confrontanti con il plasma di persone guarite dalla COVID-19, anch'esso ricco di anticorpi policlonali, i primi sono risultati quattro volte più efficaci nell'evitare l'ingresso del virus nelle cellule. Nei prossimi due mesi potrebbero iniziare i trial clinici di queste proteine, che saranno testate sia nei pazienti con infezione attiva sia a scopo preventivo. Occorre però ricordare che fino a oggi nessun anticorpo generato in animali è mai stato approvato per l'utilizzo su pazienti umani, e che non tutti sono convinti che usare i bovini come incubatori sia un metodo fattibile su larga scala o economicamente sostenibile.