Il 20 gennaio 2020, un ignaro passeggero positivo al coronavirus SARS-CoV-2 si imbarcò sulla Diamond Princess, una nave da crociera in partenza dal porto di Yokohama, in Giappone. Il primo febbraio all'uomo, sbarcato nella città di Hong Kong e ricoverato con febbre in ospedale, fu diagnosticata la CoViD-19. I passeggeri della nave furono avvisati solo il 3 febbraio quando la nave, rientrata nella baia di Yokohama, fu messa in quarantena. A un mese dall'imbarco del primo contagiato, oltre 700 persone sulle 3.711 presenti sulla nave avevano ormai contratto l'infezione.
Uno studio prova ora a ricostruire le modalità di diffusione del coronavirus sulla nave, divenuta, per una serie di errori e difficoltà di gestione, un modello di come si trasmette la covid in un luogo chiuso e affollato. I risultati dell'analisi, non ancora rivista in peer-review ma ritenuta valida da molti epidemiologi, avvalorano l'ipotesi di un ruolo importante delle più fini goccioline respiratorie nella trasmissione della malattia.
Sulla scena del crimine. Gli scienziati dell'Università di Harvard e dell'Illinois Institute of Technology si sono affidati a simulazioni computerizzate per capire come il virus si sia diffuso nelle cabine, nei corridoi e nelle aree comuni. Per giorni a bordo, dopo l'imbarco del primo passeggero infetto, si tennero spettacoli di animazione, buffet e altri eventi di massa che oggi, dopo 5 mesi di distanziamento sociale, sembrano lontani anni luce. La domanda a cui il team provato a rispondere è: come si diffonde il virus in un ambiente comunitario, e quali modalità di trasmissione dovremmo temere di più?
Soltanto parlando. Per la ricerca sono state condotte 20.000 simulazioni che hanno tenuto conto di diversi parametri come il tempo trascorso in cabina, sul ponte e nelle caffetterie di bordo, il tempo e le modalità di interazione con gli altri passeggeri, la resistenza del virus sulle superfici. Dall'analisi delle 130 simulazioni che sono state ritenute aderenti a quanto realmente accaduto sulla Diamond Princess è emerso che il 60% delle nuove infezioni contratte sulla nave dipesero dai droplets respiratori più piccoli - le goccioline che esaliamo semplicemente respirando o parlando, senza bisogno di tossire o starnutire.
Lo studio è il primo a quantificare il contributo di questo tipo di emissioni respiratorie alla trasmissione del coronavirus SARS-CoV-2. Di recente, l'OMS ha ammesso che anche le goccioline più piccole - e non solo quelle grosse e pesanti, che ricadono in fretta sulle superfici - potrebbero avere un ruolo, ma nessuno aveva ipotizzato finora quale fosse l'entità di questo rischio.
Mascherine salvavita. Due ricercatori esperti di trasmissione virale intervistati dal New York Times spiegano la trasmissione attraverso goccioline fini con due esempi molto efficaci. Se in una stanza, riuscite a sentire l'odore del cibo che qualcun altro sta mangiando, o dell'aglio che il vostro interlocutore ha consumato di recente, significa che state inalando la sua stessa aria, e potenzialmente, le sue particelle virali. Se vi allontanate, vi portate a una distanza di sicurezza.
Questo tipo di trasmissione è insidiosa perché le goccioline più fini e leggere rimangono più a lungo nell'aria, e si insinuano più facilmente nelle vie respiratorie profonde. Se lo studio fosse confermato significherebbe che dobbiamo insistere particolarmente sull'uso di mascherine nei luoghi chiusi e che scuole, ospedali, studi medici e luoghi in cui si accumulano molte persone andrebbero dotati di sistemi di ventilazione ancora più potenti, in grado di attingere costantemente aria dall'esterno, e di filtrare molto bene eventuali patogeni.