Oltre agli orrori noti della Seconda guerra mondiale, negli anni Quaranta si verificò anche un'emergenza sanitaria indotta (o comunque lasciata esplodere), provocata dal batterio Salmonella Typhi, che causa la febbre tifoide (o tifo addominale). In Polonia nel 1940 oltre 400.000 ebrei vennero rinchiusi dai nazisti in quello che oggi è uno dei sinonimi di orrore, il ghetto di Varsavia: in quei 3,4 km quadrati le condizioni sanitarie e il sovraffollamento fecero sì che la malattia si diffondesse rapidamente, infettando in poco tempo 100.000 persone e uccidendone 25.000.
Nell'ottobre del 1941, però, il contagio subì una brusca battuta d'arresto: all'epoca si gridò al miracolo, ma un recente studio pubblicato su Science dà risposte più concrete e plausibili. Il merito della fine dell'epidemia nel ghetto fu delle misure restrittive adottate, le stesse che stiamo utilizzando contro la CoViD-19: distanziamento sociale, igiene personale e isolamento degli infetti.
Grazie ai medici. Studiando documenti storici conservati in biblioteche di tutto il mondo, i ricercatori hanno ritrovato diverse memorie tenute dai dottori imprigionati nel ghetto: grazie alle loro conoscenze, e alla totale fiducia della popolazione, si sono probabilmente evitati oltre 100.00 altri contagi e decine di migliaia di morti. Nel segreto del ghetto, quegli stessi medici fondarono anche una scuola per formare nuovi medici, insegnando loro come controllare l'infezione, ed è «la prova che semplici misure di sanità pubblica possono combattere la diffusione di malattie infettive, e fare una notevole differenza», afferma Lewi Stone, uno degli autori della ricerca.
La morte, in un modo o nell'altro. Purtroppo per molti si trattò di un pericolo scampato a cui fece seguito un destino peggiore: quasi tutti vennero poi deportati nei campi di concentramento, dove morirono. I nazisti affermarono di averlo fatto per evitare "futuri focolai epidemici"... Questo pezzo di storia, oltre a darci una lezione a livello sanitario, ci ricorda anche che le pandemie vengono troppo spesso utilizzate come scusa per accanirsi contro le minoranze etniche.