Salute

Come fa il cervello a tradurre i suoni in azioni?

Il suono di un movimento può aiutare a compiere quel movimento? Uno studio apre nuovi scenari nel rapporto tra udito e cervello.

Può il suono di un’azione far scattare nel cervello gli stessi circuiti dell’azione stessa? Se lo sono chiesti ricercatori dell’Università di Verona che studiano il rapporto tra azioni e percezioni. Una risposta positiva o negativa può dare indicazioni importanti in molti ambiti, dallo sport alla rieducazione motoria.

IL finto skateboard. Per condurre l’esperimento, gli scienziati hanno coinvolto un gruppo di skater professionisti. Hanno sintetizzato il rumore di un “viaggio” sulla tavola, che comprendeva anche il suono delle ruote quando viene compiuto l’holly, il salto tipico degli skaters. La registrazione è stata poi usata con speciali pedane attrezzate per misurare spostamenti anche minimi del corpo e l’applicazione delle forze sotto i piedi, ed è stata fatta ascoltare a tre gruppi di volontari: giovani studenti di scienze motorie, anziani di 75-80 anni attivi fisicamente e in buona salute e infine agli skater professionisti.

I cinque sensi
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A tutti i partecipanti allo studio, cui era stato chiesto di stare in equilibrio sulla pedana vibrante, erano stati applicati microelettrodi per registrare il movimento dei muscoli delle gambe. Solo gli skateboardisti, all’ascolto del suono a loro familiare, hanno dimostrato la capacità di attivare schemi motori adeguati al tipo di movimento, modulando le forze sotto i piedi come se stessero realmente compiendo il salto. «In pratica gli sportivi, appena sentono il rumore si preparano al salto, simulano internamente il movimento e lo anticipano», spiega Paola Cesari, che ha coordinato la ricerca. Tra i giovani e gli anziani, invece, pur tutti attivi fisicamente, non c’è stata alcuna attivazione simile.

suono CHE ascolti, SALTO CHE FAI. Mentre le percezioni visive e il loro collegamento con gli schemi motori sono molto studiati, sul collegamento tra udito e schemi di movimento nel cervello se ne sa molto meno. «L’aspetto interessante di questa ipotesi è che il "riconoscere" qualcosa, ad esempio un gesto, un suono, un’immagine, non sia un’operazione prettamente cognitiva ma possa assumere caratteri di tipo motorio», dice ancora Paola Cesari.

Queste ricerche potrebbero avere ricadute pratiche importanti, secondo gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista PlosOne. «Il suono ha una sua forte potenza evocativa che potrebbe essere sfruttata nei tentativi di riabilitazione». Semplificando, il semplice ascoltare il suono di passi su un selciato potrebbe aiutare chi necessita di rieducazione motoria a rievocare lo schema di movimento appropriato. Un ulteriore passo in avanti della ricerca sembra suggerire che questa direzione sia giusta.

In un esperimento in cui i volontari indossavano scarpe che suonano riproducendo i rumori del camminare su ghiaia, ghiaccio o neve, lo schema della camminata è risultato diverso a seconda del suono, anche se il terreno era sempre lo stesso.

3 agosto 2014 Chiara Palmerini
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