«È presto per esserne certi, ma potremmo avere tra le mani una delle più importanti scoperte terapeutiche nel campo delle dipendenze, della quale potrebbero beneficiare milioni di persone», scrive il neuropsicofarmacologo Antonello Bonci, direttore scientifico del prestigioso National Institute on Drug Abuse (Nida) di Bethesda, negli Usa. E ne ha ben donde: quella che viene pubblicata ora sulla rivista scientifica European Neuropsychopharmacology è la terapia rapida, indolore, ed efficace, che sembra persistere nel tempo, della dipendenza da cocaina e da crack. Come dire, la soluzione del problema per il 70% dei circa 500 mila italiani cocainomani.
Una scoperta tutta italiana della quale lo stesso Bonci ha posto le basi scientifiche, ma messa a punto e sperimentata a Padova da Luigi Gallimberti, psichiatra tra i maggiori esperti italiani in terapia delle dipendenze, per anni direttore del Servizio di tossicologia clinica delle farmacodipendenze del policlinico e del Sert dell'Asl padovano, e da uno psicologo, Alberto Terraneo, entrambi ricercatori dell'Irccs San Camillo di Venezia.
Dal 2008, e in particolare da lavori pubblicati da Hans Breiter del Massachusetts general hospital di Boston sulla rivista Neuron, sappiamo che l'uso cronico della cocaina danneggia la corteccia prefrontale, cioè la parte del cervello posta dietro la fronte, causando anche una significativa riduzione del volume cerebrale e una riduzione dell'attività che altera il sistema dei neurotrasmettitori, postini chimici del cervello. Quell'area della corteccia ha un ruolo critico nel controllo degli impulsi: è deputata al controllo dei comportamenti, e danneggiarla significa perdere i freni inibitori e lasciare via libera alla ricerca ossessiva della droga.
Cinque anni dopo, nel 2013, Bill Chen e Antonello Bonci pubblicavano su Nature uno studio realizzato al Nida sulle applicazioni dell'optogenetica. È questa una metodica che unisce genetica e luce: con la genetica si inseriscono nelle cellule del cervello delle proteine speciali sensibili alla luce, le canalrodopsine, che vengono poi attivate dall'esterno con lo stimolo luminoso. In particolare, la pubblicazione di Chen e Bonci dimostrava che nei ratti che riproducono il comportamento dei dipendenti da cocaina, l'attività di una parte della corteccia frontale (area prelimbica) era estremamente ridotta. In questi ratti dipendenti la ricerca della cocaina veniva eliminata riaccendendo con lo stimolo luminoso la corteccia frontale prima spenta dalla cocaina.
Questo esperimento, che ebbe grande risonanza, non era ovviamente replicabile nell'uomo, ciò nonostante Bonci arrivava a ipotizzare di poter provare a svegliare il cervello dei cocainomani con la stimolazione magnetica transcranica (Tms), metodica non invasiva e priva di effetti collaterali, già utilizzata per la terapia della depressione.
La notizia, riportata anche in un trafiletto del Resto del Carlino (Bonci è originario del riminese), finì nelle mani del padre disperato di un cocainomane, che si rivolse a Gallimberti pregandolo di provare: oggi vengono resi pubblici i risultati di quella sperimentazione.
La stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTms) è una tecnologia che, grazie a una sonda appoggiata sulla superficie esterna della scatola cranica, consente di somministrare una serie di stimolazioni magnetiche che generano all'interno del cervello un campo elettrico. Questo "resetta" l'attività delle cellule: può sedarle o accenderle a seconda della frequenza utilizzata. Nei pazienti cocainomani, la stimolazione a 15 Hz della corteccia prefrontale dorsolaterale, area che dal punto di vista funzionale corrisponde a quella stimolata nei topi, ha consentito al 70% dei pazienti trattati di uscire dalla dipendenza in modo definitivo.
Lo studio, approvato preventivamente dal comitato etico, è stato condotto presso l'ambulatorio del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Padova su 32 cocainomani divisi in due gruppi con caratteristiche analoghe: 16 trattati con la Tms e 16 usati come gruppo di controllo e trattati con terapia farmacologica: dal momento che non esiste al mondo un trattamento considerato efficace per la dipendenza da cocaina, sono stati scelti farmaci indicati per ridurre i sintomi tipici dell'astinenza, sopratutto depressione, ansia e disturbi del sonno.
La Tms prevedeva somministrazioni quotidiane nei primi 5 giorni di terapie seguite da somministrazioni settimanali nel mese successivo. Per la durata dello studio si monitorava l'eventuale uso di cocaina con l'esame delle urine e il monitoraggio del craving, ossia il desiderio spasmodico della sostanza di abuso.
La sperimentazione è stata divisa in due fasi. La prima, durata circa un mese, di terapia vera e propria, e la seconda di follow up (in cui si seguono i pazienti) - della durata di circa due mesi - durante i quali è stato offerto ai pazienti di continuare, interrompere o, per i pazienti trattati con farmaci, di passare al trattamento con Tms.
Alla fine della seconda fase, dei 16 cocainomani inseriti nel braccio Tms solo uno aveva interrotto il ciclo: gli altri 15 continuavano a sottoporsi alla stimolazione e di questi 11 (il 69%) non avevano avuto ricadute, come dimostrato dall'esame delle urine. Del gruppo di controllo, invece, solo 13 avevano completato la fase uno: di questi, 3 erano rimasti in terapia farmacologica con buoni risultati, mentre 10 erano passati alla Tms e nei due mesi successivi 7 (il 70%) erano rimasti puliti.
«E lo sono tutt'ora», dice oggi Gallimberti. E gli altri, i non-responders, ossia quelli per i quali la Tms non ha avuto effetto? Gallimberti ha un'idea di che cosa possa essere successo, ma non vuole sbilanciarsi.
La Tms è utilizzabile anche per altre dipendenze? «Bisognerebbe provare...», risponde Gallimberti, e da come lo dice tutto lascia intendere che ci stia provando, ma non parla: nel mondo scientifico vale solo quello che viene pubblicato, e perciò non rivela né su quale dipendenza sta provando, né con quali risultati.
E il costo? Un'apparecchiatura rTms costa 100-120 mila euro, quanto i costi sostenuti dal sistema sanitario nazionale per mantenere 3 persone in una comunità terapeutica per un anno. Mentre con un apparecchio si possono trattare circa 150 pazienti l'anno. Basta fare quattro conti per capire che la terapia è anche estremamente economica, senza parlare del benessere riconquistato dai pazienti.