Se in Europa la campagna vaccinale è rallentata principalmente dalla mancanza di vaccini (oltre che da cattiva organizzazione e allarmi sanitari), nel mondo c'è un Paese che di vaccini ne produce in abbondanza, ma è comunque indietro sulla tabella di marcia delle vaccinazioni: la Cina, che pur essendo in testa alla classifica per dosi prodotte di un proprio vaccino, ha meno vaccinati rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti (secondo in classifica per dosi prodotte).
PERCENTUALI E POPOLAZIONE. È doveroso sottolineare che è un Paese con quasi 1,4 miliardi di persone: non è certo comparabile con l'Italia o qualunque altro Paese europeo, e nemmeno con gli Stati Uniti, che hanno appena 330 milioni di abitanti. Ma pur tenendo presente questa sostanziale differenza, la Cina appare comunque indietro rispetto al rivale occidentale: parlando di dosi somministrate, gli Stati Uniti al 14 marzo erano a quota 107 milioni; la Cina, al 20 marzo, era a quota 70 milioni.
Volendo guardare ai numeri in rapporto alla popolazione, il divario è ancora più marcato: scondo OurWorldInData, al 25 marzo in Cina erano state somministrate poco più di 6 dosi ogni 100 persone, contro le quasi 40 negli Stati Uniti (dosi che non corrispondono necessariamente al totale dei vaccinati, dato che alcuni vaccini richiedono la doppia inoculazione).
Perché la campagna vaccinale in Cina procede così lentamente?
Secondo l'Economist è da escludere che la campagna vaccinale vada a rilento a causa della resistenza dei cinesi al vaccino: al contrario, i dati mostrano che l'85% della popolazione è favorevole alla vaccinazione anticovid.
Un ruolo importante lo giocherebbe invece la cosiddetta diplomazia vaccinale: come spiega l'Economist, Xi Jinping (presidente della Repubblica Popolare Cinese) aveva annunciato lo scorso maggio che i vaccini cinesi sarebbero stati "un bene pubblico globale". Le aziende produttrici hanno firmato contratti con oltre 12 Stati esteri per esportare mezzo miliardo di dosi, e il governo si è impegnato a fornire aiuto vaccinale a 53 Paesi.
Diplomazia vaccinale. Questo apparente altruismo, spiega il giornale britannico, sarebbe in realtà frutto di un do ut des: il governo cinese avrebbe infatti condotto i trial di fase 3 dei propri vaccini in alcuni Paesi (tra cui Brasile, Indonesia, Pakistan e Perù), ai quali in cambio avrebbe promesso un invio prioritario delle dosi. Questo perché, avendo quasi eradicato il virus, la Cina non avrebbe potuto condurre le prove internamente, poiché le probabilità di venire contagiati - e verificare l'efficacia del vaccino - erano (e sono tuttora) minime.
Nessuna fretta. Il fatto che la CoViD-19 sia stata praticamente debellata ci porta all'ultimo punto della questione: la mancanza di urgenza.
A differenza del mondo occidentale, dove i governi lottano contro il tempo per fermare l'avanzata del SARS-CoV-2, in Cina il virus è da tempo sotto controllo: con poco più di 160 casi ancora attivi in tutto il Paese, la popolazione non ha fretta di vaccinarsi. In definitiva, nonostante il popolo cinese non sia contrario al vaccino, un cittadino su tre non sente l'urgenza di vaccinarsi poiché non percepisce più la minaccia.
Più un Paese è a rischio, questo è chiaro, più il vaccino è visto come una panacea. Bisogna però considerare che, per ritornare alla tanto agognata normalità, non si può guardare solo al proprio orticello: perché di questo passo il resto del mondo raggiungerà l'immunità prima della Cina, che rimarrà chiusa nella sua "gabbia dorata" e dovrà convincere i propri cittadini che va bene così. La Repubblica Popolare Cinese, dal canto suo, punta a vaccinare il 40% della popolazione entro la fine di luglio 2021: vedremo nei prossimi mesi se riusciranno a raggiungere questo ambizioso obiettivo.