L’usanza di aprire la cena con qualcosa di stuzzicante che non fosse una pietanza abbondante e impegnativa risale alle tavole ricche dell’antica Roma. La coena, il pasto più importante e sostanzioso che cominciava all’imbrunire, iniziava infatti con il gustatio: ostriche, polpette di pesce, ortaggi insaporiti da salse agrodolci e piccanti, salsicce, le onnipresenti uova sode e molti altri stuzzichini accompagnati dal mulsus, un vino mielato.
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Le portate del banchetto
Da molti scritti pare che già allora si fosse consapevoli che iniziare il pasto con verdure e insalate aiutava lo stomaco a ricevere le altre portate, che nelle case dei nobili erano ricche ed elaborate. Dopo l’antipasto si passava infatti alla prima mensa, che vedeva protagonisti cinghiali allo spiedo, lepri decorate, pappagalli ripieni di uova di pavone, pesci al forno, gamberi, frutti di mare. La secunda mensa concludeva il banchetto con dolci e frutta di ogni genere. L’usanza di aprire la cena con uova sode e chiuderla con la frutta, soprattutto mele, diede vita al proverbio ab ovo usque ad mala, letteralmente dall’uovo alle mele, che in realtà significa dall’inizio alla fine. Dopo la caduta dell’Impero romano e per tutto il Medioevo l’antipasto cadde in disuso lasciando ai piatti di carne e di cacciagione il compito di aprire il pasto. Ricomparve sulle tavole nel ’500, per poi giungere fino a noi.
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