Sul numero di Focus 257 in edicola fino al 20 marzo 2014, un ampio dossier vi porta alla (ri)scoperta del ruolo del padre: dalla genetica alla psicologia, ecco perché anche il papà ha il suo valore.
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Finora sono state le donne a preoccuparsi di diventare madri quando non sono più giovanissime. Al crescere dell’età, aumentano i rischi che il nascituro sia affetto da malformazioni e da anomalie cromosomiche come la sindrome di Down.
Stando però a due studi pubblicati nelle ultime settimane, i bambini nati da padri oltre i 45-50 anni hanno un rischio notevolmente aumentato di disturbi mentali e problemi cognitivi.
Bipolari
Una ricerca apparsa sulla rivista Bipolar Disorders parla di un rischio di disturbo bipolare tre volte superiore nei bambini nati da padri ultracinquantenni rispetto ai figli di padri che li hanno concepiti tra i 30 e i 34 anni.
Dal secondo studio, pubblicato su Jama Psychiatry, risulta che i figli nati da padri tra i 45 e i 50 anni hanno un rischio quasi 25 volte maggiore di disturbo bipolare rispetto a quelli con padri molto giovani (tra i 20 e i 24 anni); un rischio tredici volte maggiore di disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività; tre volte e mezzo maggiore di autismo e poco meno di problemi di uso di droghe e scarsi risultati scolastici.
Indagine a tappeto
Nello studio su Jama, ricercatori della Indiana University negli Stati Uniti e dell’Istituto Karolinska di Stoccolma hanno usato i dati sulla salute e l’educazione di oltre due milioni e mezzo di bambini nati da un milione e quattrocentomila padri (in pratica il 90 per cento dei nati in Svezia tra il 1973 e il 2001) per paragonare gli eventuali disturbi e i risultati scolastici di figli nati da padri di diverse classi di età.
Sono numeri piuttosto impressionanti, anche se va ricordato che i rischi assoluti sono piuttosto bassi. Per esempio, il disturbo bipolare colpisce circa l’uno per cento della popolazione, il che significa che la stragrande maggioranza dei figli nati da padri attempati sarà comunque sana. Le ricerche precedenti, però, avevano trovato solo un’associazione assai debole tra l’età paterna ed eventuali problemi di disturbi mentali o di salute. Da questo nuovo studio, uno dei più ampi, emergono invece percentuali ben diverse.
Spiegazioni alternative
Gli stessi autori dicono di aver pensato che ci fosse qualcosa che non tornava. Anche dopo aver «aggiustato», come si dice in gergo tecnico, i risultati per eliminare possibili fattori confondenti, per esempio l’età della madre, storia di malattie in famiglia, educazione e reddito dei genitori, però, i numeri sono rimasti gli stessi.
Una delle ipotesi, finora considerata poco plausibile, è che ci sia l’equivalente maschile dell’orologio biologico femminile: negli spermatozoi, con l’età, si accumulerebbero mutazioni casuali che potrebbero essere legate ai disturbi trovati.
C’è però chi solleva altri dubbi riguardo allo studio. Per esempio, le differenze di rendimento scolastico tra primogenito e figli successivi nella stessa famiglia potrebbero non essere necessariamente dovute all’invecchiamento del padre, ma ad altri fattori, come la maggiore quantità di tempo dedicato dai genitori. Oppure, se il padre si è risposato e ha avuto altri figli, potrebbe essere la madre e l’ambiente diverso in cui sono nati i figli successivi, più che l’età del padre, a contare.
Quanti sono i papà attempati nostrani
Certo è che, se verranno confermati, questi dati suscitano qualche preoccupazione. In Italia, come in molti altri paesi, l’età media dei padri è in aumento: è stata di 35,1 anni nel 2012 (31,4 quella delle madri). E sempre, nel 2012, nel nostro paese sono nati quasi 33mila bambini da padri ultraquarantacinquenni; 8mila sono nati quando il papà aveva cinquanta anni o più.
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