Dall'ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma arriva una notizia che potrebbe rivoluzionare il futuro delle cure oncologiche: un gruppo di clinici e ricercatori guidato dal professor Franco Locatelli è riuscito per la prima volta a impiegare un'immunoterapia con cellule CAR T per curare i neuroblastomi, tra i più aggressivi tumori che possono manifestarsi in età pediatrica.
Prima volta. Finora le CAR T, cellule immunitarie ingegnerizzate per prendere di mira specifici tumori, si erano dimostrate molto efficaci soltanto nel trattamento di tumori del sangue. Come spiega Locatelli, responsabile dell'area di ricerca e area clinica di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico del Bambino Gesù: «È la prima volta che uno studio sull'uso delle CAR T contro i tumori solidi raggiunge risultati così incoraggianti».
La ricerca che è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine, ha coinvolto 27 bambini e ragazzi tra gli 1 e i 25 anni con forme di neuroblastoma ad alto rischio, recidivanti o resistenti alle terapie convenzionali (chemio e radioterapia). La risposta al trattamento ha superato il 60% e la probabilità di sopravvivere senza malattia è significativamente aumentata rispetto alla prognosi, spesso infausta, di questo tipo di tumore.
Neuroblastoma: che cos'è? Il neuroblastoma è un tumore del sistema nervoso simpatico che ha origine dai neuroblasti, cellule presenti nel sistema nervoso simpatico, e può insorgere in diversi distretti corporei tra cui il più frequente è il surrene, l'insieme di due piccole ghiandole poste al di sopra di ciascun rene.
Si tratta del più comune tumore solido (cioè con massa compatta di tessuto) extra cranico nei bambini, responsabile dell'11% del totale delle morti per cancro in età pediatrica, e colpisce soprattutto i bambini di età inferiore ai 5 anni. Quasi la metà dei pazienti presenta una malattia ad alto rischio già al momento della diagnosi e la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del 40-50%.
I bambini in cui falliscono i trattamenti di prima scelta hanno probabilità di guarigione molto basse e una sopravvivenza a lungo termine tra il 5 e il 10%. Da qui la decisione, dice Locatelli, di «verificare se la terapia con le cellule CAR T fosse in grado di cambiare la storia naturale della loro malattia».
Quale terapia è stata usata? Le CAR-T (la sigla sta per Chimeric Antigens Receptor Cells-T) sono linfociti T (i globuli bianchi che di norma riconoscono le minacce costituite da virus o cellule maligne, mantenendo la memoria degli attacchi subiti) ingegnerizzati per riconoscere e prendere di mira uno specifico antigene cellulare, come quelli espressi da cellule tumorali.
La scelta del bersaglio. Per progettare le cellule CAR T che sono state infuse nei pazienti i ricercatori sono partiti da cellule immunitarie di ciascun paziente, i linfociti T autologhi, che sono state poi modificate geneticamente per esprimere sulla propria superficie il CAR (Chimeric Antigen Receptor), una molecola sintetica in grado di riconoscere in modo specifico le cellule tumorali. Le cellule di neuroblastoma esprimono sulla membrana esterna alti livelli di una molecola chiamata GD2, che è stata pertanto scelta come bersaglio. Seguendo questo mirino i linfociti T modificati sono stati in grado di individuare e neutralizzare le cellule malate.
Quelle usate nello studio sono CAR T di terza generazione. Diversamente da quelle di seconda generazione approvate per uso clinico contro i tumori del sangue (leucemie, linfomi e mieloma) queste includevano quello che viene definito un secondo dominio costimolatorio, una combinazione di molecole che accresce l'efficacia e la persistenza dei linfociti T ingegnerizzati.
Le cellule ingegnerizzate contenevano inoltre una sorta di "interruttore di sicurezza", un gene suicida che blocca l'azione dei linfociti T in caso di effetti avversi gravi dell'immunoterapia. Siccome un comune è possibile effetto collaterale delle terapie a base di CAR-T è la sindrome da rilascio di citochine (febbre, ipotensione, ipossia) questo escamotage permette di eliminare rapidamente le CAR T infuse nel giro di qualche ora.
I risultati. Lo studio realizzato anche grazie ai finanziamenti ricevuti da AIRC, Ministero della Salute, AIFA e Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma ha valutato sia sicurezza e tollerabilità delle CAR T in vari dosaggi (fase 1), sia l'efficacia nella cura dei tumori e la permanenza delle cellule nell'organismo (fase 2). La terapia si è dimostrata sicura ed efficace. Il 63% dei pazienti (17 bambini e ragazzi) ha mostrato una risposta alla terapia e tra questi 9 sono andati in remissione completa. Cresce inoltre la probabilità di sopravvivenza fino a 3 anni (60% dei casi) e di sopravvivere senza evidenza di malattia (36%). Le CAR T persistono nell'organismo sino a 2-3 anni dall'infusione sostenendo l'efficacia della terapia.
Una nuova opzione terapeutica. Oltre a rappresentare un'arma in più nella lotta al neuroblastoma, anche nei bambini in cui questi tumori siano stati diagnosticati da poco e nei quali siano presenti elementi di alto rischio per la sopravvivenza, la ricerca apre la strada all'uso delle CAR T anche per altri tumori solidi. A breve inizierà una sperimentazione in cui lo stesso tipo di cellule CAR T dirette contro la molecola target GD2 verrà utilizzato in pazienti pediatrici e giovani adulti affetti da vari tipi di tumore cerebrale.
"Siamo orgogliosi di aver contribuito a questo importante traguardo con fondi raccolti da Airc", ha detto il professor Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di Fondazione AIRC.