Due aziende private di biotecnologia negli Stati Uniti hanno reso noto di voler offrire, alle cliniche private, tecnologie particolarmente avanzate di screening genetico degli embrioni delle coppie sottoposte a fecondazione in vitro, prima che venga effettuato l'impianto. Negli ultimi 30 anni, questo tipo di analisi genetica è stata usata per diagnosticare anomalie cromosomiche come la sindrome di Down o malattie genetiche legate a mutazioni a carico di un singolo gene, come la fibrosi cistica.
La californiana MyOme e la Genomic Prediction (New Jersey) hanno in mente qualcosa di diverso: uno screening genetico più approfondito che arrivi a riconoscere, nei nascituri, le probabilità di sviluppare un quoziente intellettivo molto inferiore o superiore alla media, nonché - a un certo punto della vita - malattie come diabete o alcuni tipi di cancro. Con le ricadute etiche che questo tipo di informazioni - e le decisioni che ne conseguirebbero - comportano.
Un puzzle articolato. La maggior parte delle condizioni mediche è influenzata da centinaia di geni, un fatto che ha reso impossibile, finora, valutare le probabilità che un embrione possa essere potenzialmente a rischio di malattie cardiache o che abbia un'alta possibilità di sviluppare depressione. Lo stesso vale per caratteristiche ancora più articolate e sfuggenti alle definizioni, come l'intelligenza.
I progressi nello studio del DNA (come la maggiore velocità, i costi più bassi e il più vasto numero di informazioni genetiche disponibili) hanno negli ultimi anni reso possibile capire la probabilità che una persona sviluppi determinate condizioni calcolando il punteggio di rischio poligenico: con l'aiuto di algoritmi ad apprendimento automatico si può analizzare il contributo di centinaia, persino milioni di varianti genetiche, ciascuna responsabile di una piccola percentuale di rischio. Il quadro, nell'insieme, permette di calcolare la probabilità che una persona sia soggetta, nel corso della vita, a malattie autoimmuni, tumore al seno o altre diffuse patologie.
Chi è dentro e chi fuori. La Genomic Prediction è la prima azienda a offrire il calcolo del punteggio di rischio poligenico per gli embrioni (e non per l'adulto). Secondo quanto riportato dal New Scientist, l'azienda vorrebbe vendere questo servizio alle cliniche private soprattutto per testare il rischio di alcune malattie, ma offrirà anche l'opzione di screening che valuti la possibilità che il nascituro abbia "disabilità mentali". I test che offre non sono abbastanza accurati da calcolare il QI di ciascun embrione, ma potrebbero indicare gli "outlier" genetici, cioè quelli molto sopra o molto sotto la media. Dando potenzialmente ai futuri genitori la facoltà di decidere di scartare gli embrioni con basso QI o, al contrario, di selezionare quelli più portati all'intelligenza.
controlli incrociati. L'altra tecnica messa in campo dalle due aziende prevede di ottenere un quadro ancora più accurato del DNA dell'embrione integrando le parti più confuse con i dati ricavati dal genoma di entrambi i genitori. Potenti algoritmi scandaglierebbero tutto questo materiale per trovare i segmenti in cui il DNA dell'embrione somiglia di più a quello dei genitori, e capire quali tratti saranno con maggiori probabilità ereditati. La MyOme sostiene di raggiungere con questa tecnica una precisione nel sequenziamento del DNA del figlio del 99%.
I timori dell'eugenetica. Con queste premesse non è difficile pensare che in un futuro non lontano potrebbero essere molte le aziende a offrire questo tipo di servizio, accessibile per lo più a chi già può permettersi le costose tecniche di fecondazione in vitro (sempre che la legislazione del Paese di riferimento lo permetta). Chi ha accesso a questa strada potrebbe selezionare embrioni più sani, intelligenti e che vivano più a lungo, o ipoteticamente scegliere caratteristiche che non abbiano a che fare con la salute, come il colore degli occhi. Insomma la strada per i "bambini su misura" sembra prendere forma.