L’Australia potrebbe essere il primo paese a eliminare completamente il cancro dell’utero grazie al programma di vaccinazioni contro il Papilloma Virus Umano (HPV, Human papillomavirus), sessualmente trasmesso e responsabile di quasi la totalità di questi tumori: a confermare definitivamente i trend e i risultati annunciati diversi mesi fa è stata la International Papillomavirus Society.
Il risultato si spiega con il fatto che l’Australia è stato uno dei paesi a perseguire in maniera più determinata l’obiettivo di una copertura vaccinale elevata a partire dalle nuove generazioni, oltre ad avere una lunga tradizione di screening col Pap test.
Nel 2007 il governo federale australiano ha iniziato a offrire il vaccino contro l'HPV a tutte le ragazze a partire dai 12 anni, e già nel 2013 ha esteso l’offerta anche ai maschi della stessa età. Nel 2016 oltre il 78 per cento delle quindicenni e il 73 per cento dei quindicenni era vaccinato. In dieci anni, dal 2005 al 2015, il tasso di infezioni da HPV tra le ragazze dai 18 ai 24 anni era diminuito dal 23 all’1 per cento.
In Italia. Nel nostro paese, per quanto un po’ più indietro, la situazione non è tanto diversa. «In Italia oggi le coperture vaccinali per l’HPV sono circa al 70 per cento», riferisce Cristina Giambi, dell’Istituto superiore di sanità. L’Italia è uno dei pochi paesi europei, con Austria e Croazia, che ha iniziato a offrire il vaccino anche ai ragazzi, a 11 anni: alcune regioni lo fanno già, ma il Piano Vaccinale 2017-2019 prevede che l’offerta sia estesa a livello nazionale. «Vaccinando sia i ragazzi sia le ragazze diminuisce la circolazione del virus. Inoltre, un modello di offerta del vaccino rivolto a entrambi i sessi potrebbe favorire l’adesione al programma», sottolinea Giambi.
Gli studi più recenti confermano l’efficacia del vaccino nel prevenire l’infezione da HPV, i condilomi genitali e le lesioni che possono evolvere in cancro della cervice uterina. I dati mostrano che, con l’introduzione della vaccinazione, in paesi come l’Australia è diminuita l’incidenza di condilomi, che si sviluppano mesi o anni dopo l’infezione. Uno studio analogo svolto in Italia arriva alla stessa conclusione. Secondo dati più recenti, con l’introduzione del vaccino sono in calo anche le lesioni preneoplastiche (vedi lesione precancerosa).
Vaccino e pap test. Si arriverà davvero all’eliminazione del cancro del collo dell’utero? «Gli strumenti per ridurre drasticamente l’incidenza di questo tumore li abbiamo: il vaccino e il programma di screening, entrambi altamente efficaci.
La strada però è ancora lunga, visto che le coperture vaccinale e di screening non sono ancora ottimali», risponde Giambi.
Per il momento non è neppure possibile abbandonare il programma di screening per la prevenzione del tumore della cervice uterina attraverso il Pap test. «Lo screening deve comunque essere fatto, anche dalle donne vaccinate, perché una certa percentuale di tipi virali che provocano il cancro, il 10 per cento circa, non è inclusa nel vaccino. Inoltre, se la vaccinazione viene fatta dopo l’inizio dell’attività sessuale, l’efficacia massima non è garantita.»
Il vaccino utilizzato ora in Italia è quello approvato nel 2017, che copre nove ceppi del virus e che dovrebbe riuscire a prevenire circa il 90 per cento dei tumori del collo dell’utero.
C’è poi un’altra novità, che alcune Regioni hanno già applicato: da quest’anno per le ragazze più grandi si passerà dal Pap test (che si fa sulle cellule della cervice per diagnosticare lesioni che potrebbero col tempo dare luogo a tumori) alla ricerca diretta del virus HPV, prima che compaiano le lesioni.