Salute

YouTube, Facebook e Pinterest in guerra (tardiva) con i No Vax

Complice la diffusione dei casi di morbillo, le piattaforme social stanno adottando misure più o meno decise per contrastare la diffusione di contenuti contro i vaccini. Basterà?

Una tendenza contagiosa si sta diffondendo sulle principali piattaforme social, e questa volta non si tratta di una "challenge" virale: negli ultimi tempi Pinterest, Facebook e YouTube hanno deciso di penalizzare i contenuti che diffondono teorie antivax.

Approcci diversi. Da settembre 2018 Pinterest ha deciso di bloccare le ricerche di ogni contenuto inerente ai vaccini: il social fotografico che offre ispirazioni culinarie e di arredamento stava contribuendo, come denunciato dal Wall Street Journal, alla diffusione di informazioni false e allarmanti sulle vaccinazioni. La maggior parte delle foto inerenti ai vaccini condivise su Pinterest era infatti di ispirazione No Vax.

Alla fine di febbraio YouTube ha deciso di bloccare gli annunci pubblicitari sui video che veicolano messaggi contro i vaccini: sembra che alla misura abbiano contribuito alcune aziende che si erano lamentate per aver visto comparire pubblicità della loro attività in calce a filmati che diffondevano pseudoscienza. La piattaforma sta inoltre mettendo a punto algoritmi che rendano più facile trovare video realmente informativi sui vaccini, e sta studiando "pannelli" con liste di fonti alle quali gli utenti possano accedere, per un fact cheching delle notizie in prima persona.

Intanto Facebook sta da qualche tempo rendendo i post antivax meno visibili attraverso gli strumenti antibufala che usa per contrastare ogni tipo di fake news. Sistemi di machine learning permettono, una volta rintracciato e marchiato un contenuto in odore di panzana, di individuare le tante "variazioni sul tema" della stessa notizia e riservare loro lo stesso trattamento.

Sarà sufficiente? Queste misure costituiscono senz'altro un importante passo avanti: un fronte unito da parte di piattaforme che raggiungono milioni di utenti, e che spesso sono usate come principale strumento di informazione, può significare meno persone esposte a teorie antivacciniste.

Tuttavia, come fa notare un articolo su Vox, è irrealistico attribuire ai social media la maggior parte della responsabilità di queste teorie del complotto. Libri, documentari, film antivax sono diffusi da tempo, e social a parte, esistono quasi 500 siti antivaccinisti regolarmente frequentati. Le occasioni di (dis)informazione non mancano, quindi, mentre spesso si sente la mancanza, sui social, di video scientifici istituzionali.

Come ci aveva raccontato qualche tempo fa Pier Luigi Lopalco, epidemiologo e professore di igiene e medicina preventiva all'Università di Pisa, descrivendo la situazione italiana, «su YouTube, dal 2012 e almeno fino al 2015, erano presenti esclusivamente video antivaccinisti, che propagandavano le idee di Wakefield. Era l'unica presenza in Rete per la chiave di ricerca vaccini-autismo: non c'era nessun video scientifico.

A partire dal 2015 e fino al 2017 è invece aumentata la presenza di istituzioni e scienziati che si sono messi in Rete a fare controinformazione: è davvero curioso che la "controinformazione" debba essere quella della medicina ufficiale. Ma fino al 2012 Internet, almeno in Italia, è stato terreno esclusivo delle lobby antivacciniste».

Inoltre, questo tipo di intervento social, benché provvidenziale, è forse tardivo. Epidemie di morbillo sono in corso in Europa, a Washington, nelle Filippine, in Giappone, e l'OMS ha da poco dichiarato la sfiducia nei vaccini una delle 10 principali minacce alla salute pubblica per il 2019.

10 marzo 2019 Elisabetta Intini
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