Ogni tanto l'ipnosi finisce sulle cronache: come caso eccezionale al confine tra la stregoneria e l’aneddoto curioso, oppure è la storia di qualche paziente operato senza anestesia, usando appunto come unico antidolorifico la forza della suggestione. Eppure, anche se da sempre è guardata con sospetto nell’ambiente medico, l’ipnosi sarebbe un metodo di controllo del dolore alternativo o complementare ai farmaci, utile per una larga fetta della popolazione, e in molte circostanze. A dirlo non sono gli adepti di qualche strana setta, ma ricercatori italiani che da tempo studiano il fenomeno.
Alti, medi e bassi. Nella nuova ricerca (ScienceDirect, sommario, in inglese), il gruppo guidato da Enrica Santarcangelo, che da anni all’Università di Pisa si dedica alla ricerca sul fenomeno, ha appurato che tra le persone più influenzabili via ipnosi, alcune semplici tecniche, senza l’utilizzo di farmaci, possono ridurre della metà il dolore percepito.


Il punto da cui partire è questo: non tutti siamo ugualmente ipnotizzabili. C’è chi, per ragioni ancora non del tutto chiare, probabilmente di natura fisiologica, è più sensibile e risponde meglio alla suggestione indotta dall’ipnosi. Si sa che i cosiddetti high, coloro che hanno un’alta suscettibilità all’ipnosi, sono circa il 15 per cento della popolazione; le persone mediamente suscettibili sono la maggioranza, circa il 70 per cento, mentre quelli scarsamente o per niente ipnotizzabili sono stimate nel restante 15 per cento.
Si sa anche che gli effetti dell’ipnosi non frutto dell'immaginazione, ma producono un reale cambiamento dell’attività cerebrale, come dimostrato in diversi studi.
Parole contro il dolore. I ricercatori hanno coinvolto sessanta volontari, per la maggior parte studenti dell’università, nel nuovo esperimento. I partecipanti sono stati sottoposti a una prova dolorosa, una piccola scarica elettrica a una mano.


Ad alcuni di loro, durante la scossa è stata proposta una cosiddetta “suggestione verbale di analgesia”, si tratta in pratica di istruzioni in cui viene chiesto di immaginare che il dolore si sposta in un’altra parte del corpo, oppure è poco intenso, o svanisce, e così via. Altri sono stati sottoposti a una tecnica diversa, chiamata analgesia condizionata, che nello specifico consisteva nel fare precedere alla scossa uno stimolo doloroso diverso, per esempio il contatto con un oggetto molto freddo.
Per chi funziona, e per chzi no. In entrambi i casi, queste tecniche di analgesia senza farmaci hanno funzionato molto bene nelle persone che nei test erano state giudicate altamente ipnotizzabili, e che hanno avuto una riduzione nella percezione del dolore fino al 50 per cento.
Sono state abbastanza efficaci, con una diminuzione del dolore percepito del 30 per cento, in coloro che risultavano mediamente suscettibili all’ipnosi, e poco efficaci (20 per cento in meno di dolore) in coloro che avevano punteggi bassi nei test di ipnotizzabilità.


Ipnosi in ospedale? «Una riduzione del dolore di almeno il 25-30 per cento viene considerata rilevante da un punto di vista clinico», osserva Enrica Santarcangelo. «Gli altamente ipnotizzabili riducono benissimo il dolore, alcuni ‘medi’ possono farlo, i ‘bassi’ non ci riescono quasi per niente. Considerando che secondo le stime almeno l’85 per cento della popolazione ha una suscettibilità all’ipnosi tra media e alta, in molti casi sarebbe possibile controllare abbastanza bene il dolore con strategie cognitive e senza l’uso di farmaci.»
In alcuni Paesi l’ipnosi viene utilizzata in ospedale per il controllo del dolore e come aiuto per ridurre il consumo di farmaci analgesici e sedativi negli interventi chirurgici. In Italia è ancora considerata una stranezza. Chissà se studi come questo contribuiranno a incoraggiare l’uso di metodi alternativi ai farmaci. Tra l’altro, sottolinea Santarcangelo, per utilizzare queste tecniche non è necessario avere un ipnotista in corsia: basterebbe che medici o infermieri imparassero alcune semplici tecniche per dare ai pazienti queste istruzioni “antidolorifiche”.