Salute

Anticorpi monoclonali: uno scudo temporaneo anti-covid

In attesa del vaccino, i farmaci a base di anticorpi monoclonali sembrano proteggere i pazienti ad alto rischio contagio dalle infezioni da covid.

Medicinali a base di anticorpi monoclonali, molecole create in laboratorio e capaci di offrire una protezione immunitaria temporanea, sembrano proteggere dalle forme sintomatiche di CoViD-19 nei contesti a più elevato rischio di contagio, come le case di riposo dove vi siano già pazienti positivi. A darne annuncio in due diversi comunicati sono l'azienda farmaceutica statunitense Eli Lilly, che ha promesso di presentare presto i risultati in una pubblicazione in peer-review, e a stretto giro anche Regeneron, un altro colosso USA delle biotecnologie.

Dalla cura alla prevenzione? Gli anticorpi monoclonali sono cloni cellulari ottenuti in laboratorio delle proteine più efficaci che il sistema immunitario mette in campo, in questo caso, contro il SARS-CoV-2. «Gli anticorpi monoclonali (mAb o moAb) sono immunoglobuline identiche, generate da un singolo clone di cellule B. Questi anticorpi riconoscono epitopi unici o siti di legame su un singolo antigene» spiega a Focus.it Giuseppe Novelli, professore di Genetica Umana all'Università di Roma Tor Vergata.

«In medicina, gli anticorpi monoclonali hanno un ruolo sempre crescente negli ultimi anni soprattutto nel trattamento delle malattie autoimmuni, nel cancro e nelle malattie infettive (virus respiratorio sinciziale, infezioni da Clostridium difficile, Ebola e SARS-CoV-2). Sono progettati per riconoscere specificamente un unico, determinato antigene e si legano ad esso neutralizzandolo». Si tratta di farmaci molto costosi per ora usati in casi di emergenza nel trattamento precoce della covid, ma sono in molti a ritenere che possano essere impiegati anche come scudo anti-contagio temporaneo.

Dove più occorre. Entrambe le aziende hanno condotto esperimenti in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases statunitense. La Eli Lilly ha testato le capacità protettive del bamlanivimab, un farmaco già approvato dalla Food and Drug Administration per il trattamento precoce dei pazienti positivi che rischiano forme più gravi di covid. L'azienda ha allestito delle unità mobili con laboratori e staff sanitario organizzati su furgoni, che negli ultimi mesi ha spedito in diverse case di riposo degli Stati Uniti che avevano registrato focolai di contagio. 

Le unità su ruote si sono trasformate in centri medici provvisori per l'infusione del medicinale, che va somministrato per via endovenosa. Il pronto intervento ha dato risultati insperati, con una riduzione dell'80% delle infezioni sintomatiche tra gli ospiti e del 60% nel personale delle strutture.

Dati incoraggianti. Lo studio ha coinvolto 1.097 partecipanti, 132 dei quali risultati positivi al coronavirus della CoViD-19 all'inizio della ricerca.

Tra i soggetti rimanenti, 300 erano ospiti di case di riposo o altre strutture di lungodegenza; gli altri erano operatori con diverse mansioni. Nel corso della sperimentazione si sono verificati quattro decessi attribuiti alla covid, tutti nel gruppo dei residenti che avevano ricevuto un placebo: considerando il modo in cui il virus dilaga in questi contesti, si può notare un'estensione dell'effetto protettivo del farmaco anche tra chi non l'aveva assunto.

risultati simili. I dati ancora in attesa di pubblicazione di Regeneron riguardano i primi 400 volontari di uno studio in corso, persone ad alto rischio di contagio perché residenti in strutture con pazienti positivi alla covid. Metà dei soggetti hanno ricevuto un placebo, l'altra metà 1,2 grammi degli anticorpi monoclonali casirivimab e imdevimab. Otto pazienti nel gruppo del placebo si sono ammalati, ma nessuno dei 186 volontari trattati con gli anticorpi ha contratto forme sintomatiche di covid. Questi ultimi sono risultati anche meno spesso portatori asintomatici del virus: nel gruppo di controllo sono stati trovati 23 positivi asintomatici, in quello curato con i farmaci soltanto 10 e comunque con un'infezione meno grave, durata mai più di una settimana e con una ridotta carica virale.

Protetti da subito. Ospiti e personale delle case di riposo rientrano già tra i soggetti con priorità vaccinale contro la CoViD-19. Gli anticorpi monoclonali, quindi, non sono un'alternativa ai vaccini ma potrebbero essere uno strumento prezioso per proteggere queste fragili comunità quando si è già verificato un focolaio e gli ospiti non sono ancora stati vaccinati, oppure quando il vaccino non ha avuto tempo di agire.

«Gli anticorpi monoclonali forniscono una strada alternativa per la prevenzione del COVID-19» chiarisce Novelli. «L'infusione passiva di anticorpi monoclonali come pre-esposizione o profilassi post-esposizione può offrire una protezione immediata dalle infezioni che potrebbero durare settimane o mesi. Le nuove tecnologie che modificano la regione Fc (una sua particolare porzione, ndr) dell'anticorpo per prolungare l'emivita degli anticorpi monoclonali possono fornire livelli potenzialmente protettivi per mesi, a seconda delle concentrazioni di anticorpi monoclonali richieste».

«Sono importanti perché utilizzati nelle fasi precoce della malattia riducono come dimostrato recentemente di circa il 70% la mortalità e il ricovero ospedaliero. Quindi nella fase di una non completa vaccinazione, per esempio per mancanza dosi, potrebbero essere utili per una protezione temporanea». Tra la prima dose e il richiamo dei vaccini attuali, infatti, occorrono circa sei settimane affinché si stabilisca una protezione immunitaria pressoché completa.

Ecco dunque che farmaci di questo tipo potrebbero rappresentare una risorsa immediata, anche per i pazienti immunodepressi che faticano a sviluppare una risposta immunitaria o non possono essere vaccinati.

Un'arma in più. Le due aziende chiederanno alla FDA un'autorizzazione di emergenza per l'uso di anticorpi monoclonali anche a scopo preventivo in contesti molto a rischio, mentre Regeneron è riuscita a riformulare i farmaci in modo che possano essere somministrati con una semplice iniezione, anziché un'infusione endovenosa.

27 gennaio 2021 Elisabetta Intini
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