La scoperta dell'anestesia generale 170 anni fa è una delle conquiste più importanti della storia della medicina, ma come funziona, esattamente? La domanda non è banale: decenni di ricerche non sono riusciti a chiarire l'esatto meccanismo di azione dei farmaci anestetici, limitandosi a ipotizzare che riescano a inibire le normali attività del cervello, come quelle alla base del movimento o della percezione del dolore.
Ora uno studio pubblicato su Neuron fornisce una parziale risposta a questa domanda. Secondo gli scienziati della Duke University, che hanno studiato gli effetti di diversi farmaci anestetici di comune utilizzo, l'anestesia generale ci "mette al tappeto" insinuandosi nel circuito neurale che regola il sonno profondo.
Lo fa non inibendo, bensì attivando, un piccolo gruppo di neuroni che facilitano il rilascio di ormoni regolatori delle funzioni corporee e dell'umore: è la prima volta che una ricerca sottolinea il ruolo degli ormoni nel mantenerci addormentati durante gli interventi invasivi.
Attivare per... disattivare. I ricercatori hanno sviluppato la loro ipotesi osservando i pregiudizi legati al sonno profondo, "fratello" dell'anestesia generale: a lungo considerato un momento di attenuazione delle funzioni cerebrali, si è rivelato, nell'ultimo decennio, un processo molto più attivo del previsto. Ci sono gruppi di neuroni che si attivano appositamente per guidarci tra le braccia di Morfeo.
Per capire se lo stesso valesse per l'anestesia, gli scienziati hanno utilizzato marcatori molecolari per capire quali neuroni si attivassero in topi addormentati con diversi farmaci anestetici. Hanno osservato un'intensa attività dei neuroni del nucleo sopraottico, una regione dell'ipotalamo che produce sostanze di tipo ormonale (come l'ormone vasopressina, dall'azione antidiuretica) e le rilascia nel sangue.
Sonno a comando. Questo gruppo di cellule che fa da ponte tra il sistema nervoso e quello endocrino ha un ruolo importante nel sonno profondo.
Quando i ricercatori le hanno attivate chimicamente o con stimoli luminosi, i topi hanno interrotto le loro attività e sono caduti in un sonno ad onde lente (quello da cui è più difficile destarsi, comunemente associato con la perdita di coscienza). Quando questi neuroni sono stati disattivati, i topi si sono mostrati irrequieti e incapaci di addormentarsi. Lo stesso è stato tentato sui roditori sotto anestesia: attivando i neuroni del nucleo sopraottico lo stato di addormentamento indotto è durato più a lungo; silenziando queste cellule, i topi si sono risvegliati più facilmente.
Manipolando questo circuito si potranno non solo mettere a punto farmaci anestetici con minori effetti collaterali, ma anche sviluppare molecole efficaci per i disturbi del sonno: molti pazienti con Alzheimer, per esempio, faticano a cadere nel sonno profondo, la cui assenza ha effetti importanti sulle normali attività quotidiane.