Un'altra bandiera bianca si leva nel campo della ricerca di una terapia che possa rallentare la progressione della malattia di Alzheimer: giovedì 21 marzo l'azienda farmaceutica Biogen ha annunciato la sospensione di due importanti sperimentazioni cliniche sull'uomo dell'aducanumab, un farmaco sperimentale per il trattamento dell'Alzheimer in stadio precoce che si pensava capace di colpire le placche amiloidi tipiche della malattia.
Nessun beneficio. Si trattava di studi di fase 3, nei quali si testa l'efficacia dei farmaci su sintomi, qualità della vita e sopravvivenza, confrontandoli con altri farmaci, con un placebo o con l'assenza di trattamento. Sono stati bloccati in seguito a uno "studio di futilità" (l'incapacità di un trial clinico di raggiungere gli obiettivi proposti) e non per problemi legati alla sicurezza del farmaco. Un comitato indipendente ha analizzato i dati sui pazienti e stabilito che l'aducanumab non rallenta né contrasta i danni sul cervello di questa forma di demenza.
aspettative deluse. La molecola era considerata tra le più promettenti nonché una delle poche speranze rimaste di arrivare a una parziale terapia contro l'Alzheimer in tempi rapidi. Le placche amiloidi sono aggregati di un peptide (un "frammento" di proteina: in questo caso, la beta-amiloide) che esercitano un'azione tossica sui neuroni. Non è chiaro se il loro accumulo sia tra le cause, o piuttosto un effetto della malattia, ma a lungo sono state il principale obiettivo delle sperimentazioni farmacologiche.
L'aducanumab è stato sviluppato analizzando le cellule immunitarie di pazienti anziani senza segni di deterioramento cognitivo: un particolare anticorpo sembrava proteggerli dalle placche amiloidi. Biogen ha brevettato questa molecola che, nelle prime fasi della sperimentazione clinica, sembrava ridurre gli aggregati nocivi dai neuroni dei pazienti con Alzheimer, migliorandone le funzioni cognitive. Ecco perché negli ultimi anni gli occhi della comunità scientifica e delle famiglie di pazienti con Alzheimer erano puntati su questo studio.
Che cosa ci sfugge? La nuova sospensione segue una lunga scia di insuccessi nella ricerca di una terapia contro una condizione che colpisce, solo in Italia, circa 500 mila persone. L'ennesimo fallimento ha riportato a galla il dibattito su quale debba essere il bersaglio di chi fa ricerca in questo campo: l'incapacità nel trattare, o anche solo rallentare la malattia prendendo di mira le placche amiloidi hanno fatto ipotizzare che si debba intervenire a monte, su alcune cause di base, e che ci sia qualcosa di sbagliato nell'attuale comprensione dell'Alzheimer.
Forse, un intervento sulle placche già formate è già tardivo, e occorrerebbe agire molto prima che possano formarsi.
Altre strade della ricerca si stanno concentrando sui grovigli di proteina tau (un altro aggregato proteico che si accompagna alla condizione) ma anche sul rapporto tra Alzheimer e herpes, mancanza di sonno, malattie gengivali. Occorre tornare a considerare il quadro più ampio.