Un trattamento anti Alzheimer sperimentale che aiuta il cervello a sbarazzarsi delle cellule senescenti si è dimostrato sicuro nella prima fase di un trial farmacologico. Lo riporta uno studio pubblicato su Nature Medicine, che apre a nuove prospettive terapeutiche contro questa forma di demenza.
Una via alternativa. Negli ultimi decenni la ricerca farmacologica sulla malattia di Alzheimer si è concentrata soprattutto su molecole che prendano di mira le placche di proteina beta amiloide e i grovigli di proteina tau, che si accumulano nel cervello dei pazienti provocando la morte dei neuroni. Un'altra possibilità promettente e poco esplorata è quella di bersagliare le cellule senescenti: cellule che si trovano in uno stato per cui non sono più in grado di proliferare ma neanche di autodistruggersi con morte programmata (apoptosi).
Come zombie. Di per sé la senescenza è un meccanismo fisiologico che serve da protezione, per esempio, contro la proliferazione incontrollata di cellule tumorali. Tuttavia, quando le cellule con questa caratteristica si accumulano in un organo - come spesso succede quando i tessuti invecchiano - possono comprometterne la funzionalità.
Vecchie e malate, incapaci di ripararsi ma anche di morire, iniziano infatti a comportarsi in modo anomalo, rilasciando sostanze infiammatorie che provocano la morte delle cellule sane circostanti. Con il tempo, le cellule senescenti continuano ad accumularsi nei tessuti, contribuendo a loro volta al processo di invecchiamento, all'aumento del rischio di cancro e - nel caso del cervello - al declino cognitivo.
Fare pulizia. Già da alcuni anni si hanno evidenze di una presenza anomala di cellule senescenti nel cervello con Alzheimer. «Nei topi è anche stato dimostrato che esse contribuiscono alla perdita di neuroni, all'infiammazione e al declino della memoria» chiarisce Miranda Orr, gerontologa della Wake Forest University School of Medicine e autrice del nuovo studio.
Combo vincente. Per favorire la distruzione delle cellule senescenti, Orr e colleghi hanno "riciclato" un farmaco già approvato dalla FDA per ripulire l'organismo dalle cellule tumorali (il dasatinib) e l'hanno usato in combinazione con un antiossidante di origine vegetale, il flavonoide quercetina. Quest'ultimo è un elemento dalle proprietà antinfiammatorie che si trova in natura nei frutti rossi, nei pomodori, nelle mele, nell'uva e in tanti altri prodotti.
Entrambi i farmaci si erano già dimostrati efficaci, anche usati in combinazione, in pazienti con altre malattie. Inoltre «ricerche precedenti dimostrano che usati insieme prendono di mira le cellule senescenti e permettono loro di morire» aggiunge Orr.
«E sappiamo che hanno eliminato le cellule senescenti nei topi con una condizione tipo-Alzheimer».
Semaforo verde. Per questa fase iniziale dello studio il team ha somministrato i medicinali soltanto a 5 pazienti, di 65 anni o più, con i primi sintomi di Alzheimer. I volontari hanno ricevuto il dasatinib e la quercetina in forma orale per due giorni di fila, seguiti da due settimane senza farmaci, in cicli ripetuti sei volte per un totale di 12 settimane. Il dasatinib è riuscito a raggiungere il sistema nervoso centrale dei pazienti; al contrario, la quercetina non è stata rilevata nelle analisi del liquido cerebrospinale.
Il trattamento è risultato sicuro, ben praticabile e ben tollerato, e anche se i test cognitivi non hanno evidenziato cambiamenti significativi nell'arco dello studio, il team dice che ci sono indizi che la terapia combinata abbia aiutato a intaccare le placche amiloidi e ridurre l'infiammazione nel sangue. Nel liquido cerebrospinale sono stati trovati invece marcatori infiammatori che potrebbero essere spia della morte delle cellule senescenti. Tuttavia, ora che si è certi che il trattamento è sicuro, i risultati dovranno essere confermati su studi ben più ampi e che prevedano, a differenza di questo, anche un gruppo di controllo.