Barcellona, 22 ott. (Dall'inviata dell'Adnkronos Salute Margherita Lopes) - Dopo aver trasformato in molte zone del pianeta l'infezione da Hiv in una malattia cronica, gli specialisti fanno il punto della situazione all'European Aids Conference (Eacs 2015) in corso a Barcellona. "Grazie agli antiretrovirali abbiamo evitato 7,8 milioni di morti tra il 2000 e il 2014. Ma non è abbastanza. Se non raggiungeremo l'obiettivo del '90-90-90' l'epidemia tornerà a crescere e potremmo avere 28 mln di casi di Hiv in più", afferma Matthias Egger dell'Università di Berna, sottolineando l'importanza di diagnosticare il 90% dei casi, trattare il 90% dei pazienti con una diagnosi e raggiungere la soppressione della carica virale nel 90% delle persone in cura.
Il target 90-90-90 è un obiettivo fissato da Unaids che, in caso di successo, si tradurrebbe nel 73% di pazienti con una carica virale non più rilevabile. Modelli matematici presentati alla Conferenza mostrano infatti che se l'obiettivo venisse raggiunto nel 2020, si potrebbe porre fine all'epidemia di Aids nel 2030. "Ma l'Europa non ha chiuso con l'Aids e non c'è spazio per abbassare la guardia", avverte Michel Kazatchine, inviato speciale del segretario generale dell'Onu per l'Aids in Europa e Asia Centrale. "In effetti - spiega - ci sono tre Europe: quella dell'Est, quella centrale e quella occidentale, con tre diverse epidemie, differenti risposte e anche livelli di successo".
L'epidemia nell'Europa orientale continua a crescere, a causa della mancata diagnosi soprattutto in tossicodipendenti che usano sostanze iniettabili. Ma epidemie 'autonome' stanno emergendo anche in gruppi come gli uomini eterosessuali e le donne, proprio attraverso i rapporti non protetti, avverte Kazatchine. Nell'area centrale del Vecchio Continente, prosegue l'esperto, nonostante la bassa prevalenza l'incidenza dell'Hiv sta gradualmente crescendo in diversi Paesi.
La situazione migliore è quella dell'Europa occidentale, dove però il livello di nuove infezioni è rimasto stabile nell'ultimo decennio. E quello dei pazienti in terapia non cresce come potrebbe. Kazatchine ha sottolineato l'importanza di un'offerta attiva e mirata dei test, per interrompere la catena di infezioni. "Il self-testing potrebbe essere una soluzione. Raggiungere l'obiettivo del 90-90-90 non segnerebbe la fine dell'Hiv - conclude l'inviato Onu - Ma vorrebbe dire che siamo sulla strada giusta per eliminare l'Aids dall'elenco delle minacce per la salute pubblica".