La Giornata mondiale dell'Alzheimer che si celebra ogni anno il 21 settembre è un'occasione per diffondere consapevolezza sulla più comune forma di demenza, una condizione - quella delle demenze in generale e non solo di tipo Alzheimer - che secondo l'OMS interessa oggi 55 milioni di persone nel mondo e che nei prossimi 25 anni potrebbe riguardare 139 milioni di persone.
Ma questa giornata offre anche l'opportunità di fare il punto sulla ricerca scientifica, che sempre più spesso prova a far luce sui segni precoci della malattia: i pochi farmaci che riescono a rallentare la progressione dei sintomi dell'Alzheimer sono infatti maggiormente efficaci se somministrati "da subito".
Campanelli d'allarme. Due nuovi lavori coordinati dalla Boston University School of Medicine hanno individuato biomarcatori, nel sangue, che non solo possono essere usati per diagnosticare il decadimento cognitivo lieve, uno stato di transizione tra il normale invecchiamento e la demenza lieve, ma che potrebbero anche aiutare a prevedere se quel paziente in effetti arriverà a sviluppare malattia di Alzheimer. I biomarcatori in questione, cioè queste tracce precoci nel sangue spesso rivelatrici di patologie in fase di sviluppo, sono i microRNA, piccole molecole di RNA non codificante (cioè che non va incontro a traduzione) che circolano nel plasma, la componente liquida del sangue.
Spiragli di prognosi. I microRNA regolano le interazioni tra genoma e ambiente e controllano l'espressione dei geni che, in questo caso specifico, governano le funzioni cerebrali compromesse nella malattia di Alzheimer. Secondo i due studi pubblicati sulla rivista Alzheimer's & Dementia: The Journal of the Alzheimer's Association, l'analisi di questi frammenti unita ai risultati delle valutazioni neuropsicologiche aiuta a predire quali pazienti preoccupati per un leggero deterioramento cognitivo, che però non compromette le normali attività quotidiane, finiranno per sviluppare la malattia di Alzheimer.
All'origine delle placche. Non solo: i ricercatori sono riusciti a capire anche quali, tra i microRNA noti e potenzialmente indicativi di patologia neurologica, sono più spesso associati con altre "spie" della malattia di Alzheimer, ossia i biomarcatori che misurano i livelli di proteina beta-amiloide, di proteina tau e di neurodegenerazione nel cervello, nel liquido cerebrospinale e nel plasma.
«I microRNA sono biomarcatori ideali poiché non solo sono molto stabili ma controllano anche interi percorsi molecolari [...] un microRNA può controllare simultaneamente molte proteine appartenenti a un determinato percorso» spiega Andre Fischer del German Center for Neurodegenerative Diseases (DZNE) di Goettingen (Germania), che ha collaborato allo studio.
«Pertanto, l'analisi di alcuni microRNA può fornire informazioni su cambiamenti patologici complessi che riflettono molteplici percorsi, come la neuroinfiammazione, i cambiamenti metabolici o la disfunzione delle sinapsi».
Più a rischio. I ricercatori sono arrivati a questo risultato confrontando l'espressione di microRNA nel plasma di tre gruppi di pazienti, cognitivamente integri, affetti da decadimento cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment, MCI) o con demenza di tipo Alzheimer. Capire quali, tra i pazienti del gruppo di mezzo è destinato a evolvere la malattia di Alzheimer è cruciale, perché una percentuale stimata tra 10-15% delle persone con MCI finirà per sviluppare questo tipo di demenza. Introdurre la ricerca di specifici microRNA nelle analisi del sangue potrebbe servire a intervenire prima, e con trattamenti specifici, proprio nella popolazione più interessata.