Il 14 gennaio, dopo aver cancellato più di 11 mila vite, l'epidemia di Ebola è stata ufficialmente dichiarata conclusa. Adesso che anche la Liberia è libera dal virus, e che l'Africa occidentale può tirare - forse, vedi a fine pagina - un sospiro di sollievo, è tempo di bilanci su come il mondo ha gestito uno dei più gravi disastri sanitari dell'era moderna.
Una analisi pubblicata su Nature offre spunti interessanti: ve lo anticipiamo, non ne usciamo benissimo.
1. Il mondo non è pronto a emergenze di questo tipo. Specialmente se ad essere colpiti sono i Paesi più poveri. Quando l'epidemia emerse in Guinea, a fine 2013, gli sforzi messi in moto dall'OMS per contenerla non furono sufficienti ad arginarla sul nascere.
In questi due anni di lotta contro il virus, nonostante numerosi esperti abbiano invocato una riorganizzazione delle maggiori istituzioni che si occupano di salute pubblica, non è cambiato molto. Occorre lavorare sulla rapidità con cui si dichiara l'inizio di un'epidemia, sulla velocità della ricerca sul campo, sul budget a disposizione per far fronte al primo soccorso e molto altro.
2. Gli equilibri di potere tra le autorità sanitarie mondiali sono cambiati. Nel caso di Ebola, hanno lavorato meglio le organizzazioni sul campo. Che purtroppo, però, sono state spesso lasciate sole. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dovuto ammettere di non aver saputo rispondere prontamente all'epidemia, lasciando per molti mesi l'onere dei primi, rischiosi interventi a ong come Medici Senza Frontiere o alle organizzazioni religiose locali impegnate in Africa occidentale. Decine di volontari, privi dei mezzi e del supporto adeguato a livello centrale, sono morti mentre lavoravano sul campo.
3. Le infrastrutture mediche dell'Africa occidentale sono estremamente precarie. Se possibile, adesso ancora più di prima: gli strascichi dell'epidemia sono destinati a durare a lungo. Molti esperti epidemiologi locali sono morti, e le risorse finanziarie impiegate contro Ebola hanno lasciato scoperti settori estremamente bisognosi di attenzione, come quello legato alla salute di partorienti e neonati, o il campo - delicato e poco conosciuto - dei sopravvissuti al virus, costretti a convivere con conseguenze a lungo termine ancora poco note.
4. Pregiudizi e paure fanno il gioco dell'epidemia. Le vittime di Ebola e le loro famiglie, nonché quanti hanno lavorato per contrastare la diffusione del virus, hanno dovuto fare i conti con superstizioni interne e con la chiusura e l'ignoranza del resto del mondo.
Le falle della comunicazione sui rischi di contagio hanno generato, in molti casi, paura e diffidenza nei confronti dei medici che entravano a contatto con le famiglie; in molti hanno mostrato resistenze nell'inviare i propri familiari nei centri appositi, e nell'isolarli completamente.
Fuori dall'Africa, c'è chi ha invocato la chiusura delle frontiere, chi ha fomentato il razzismo e chi, per leggerezza, non ha monitorato a dovere la salute dei volontari rientrati dall'Africa.
5. La chiave della vittoria risiede nella conoscenza della cultura e delle autorità locali. Imporre una politica di contenimento non ha senso, se nella lingua del posto non esiste un termine equivalente a "virus". Informare le autorità politiche e religiose locali sulla natura della malattia e sulle misure preventive ha avuto molta più efficacia dell'invio di qualunque luminare internazionale.
6. Nel caso di future epidemie, i trial clinici devono essere più veloci. Senza perdere di vista i limiti etici e di sicurezza legati a una sperimentazione d'urgenza. Autorità sanitarie e case farmaceutiche hanno compiuto una corsa contro il tempo per testare vaccini e altre terapie durante l'epidemia: è stato così che si è finalmente arrivati a un vaccino efficace sull'uomo.
Ciò nonostante, ritardi burocratici hanno impedito a molte sperimentazioni di iniziare durante la fase più critica dell'epidemia, facendo arenare la raccolta dati sull'efficacia di alcune terapie, come lo ZMapp, che sembra funzionare sui primati e che è stato usato nei trattamenti di alcuni sopravvissuti all'infezione.
7. Non è ancora finita. Questa è forse la lezione più importante da ricordare. Il virus potrebbe riemergere da un momento all'altro, e l'incertezza sugli animali che se ne fanno vettori rende complicato monitorarne la comparsa. È notizia di poche ore fa che i medici della Sierra Leone hanno confermato una nuova morte causata da Ebola. L’ultimo caso riconosciuto in Sierra Leone era stato a ottobre e a novembre l’epidemia era stata dichiarata finita nel paese.
Prima dell'epidemia di Ebola nessuno pensava che un'infezione potesse diffondersi così a macchia d'olio, ma la facilità di spostamento e la concentrazione della popolazione nelle aree urbane rendono la diffusione di questa ed altre epidemie ancora più facile. Esistono virus anche più letali di questo che potrebbero seguirne le orme. Non possiamo abbassare la guardia.