Nell'ultimo secolo l'impatto dell'industrializzazione e di altre attività umane ha creato numerosi squilibri sulla Terra, a partire dall'aumento incontrollato di emissioni di anidride carbonica, metano e altri gas serra, che intrappolano calore tra la superficie e l'atmosfera provocando il progressivo aumento della temperatura media del pianeta.
I gas serra ostacolano la normale dispersione di calore verso lo Spazio: analisi satellitari e studi sulla risposta degli oceani confermano che la Terra assorbe dal Sole più energia di quella che rilascia, uno "sbilancio" energetico stimato in 0,85 watt per metro quadrato, che contribuisce al cosiddetto riscaldamento globale (global warming).
Naturale e artificiale. L'effetto serra è un fenomeno naturale, che ha permesso lo sviluppo della vita così come la conosciamo: senza i gas atmosferici, la temperatura media sulla Terra scenderebbe a -18 °C. Con la rivoluzione industriale, però, gli equilibri sono stati alterati: gli idrocarburi da una parte nutrivano fabbriche, allevamenti e coltivazioni, mentre dall'altra rilasciavano in atmosfera gli elementi che avevano trattenuto per milioni di anni, alterando l'equilibrio del pianeta e innescando effetti a catena.
Nell'ultimo secolo la temperatura media globale è aumentata tra 0,6 e 1 °C (a seconda dei metodi di studio utilizzati, e alcune stime vanno anche oltre). Il livello medio dei mari è cresciuto ed è aumentata la temperatura media del primo strato di acqua, quasi tutti i ghiacciai del mondo si ritirano in modo sensibile, aumenta la desertificazione e sono più comuni i fenomeni atmosferici estremi.
L'esercito della Scienza. L'insieme delle evidenze e degli studi hanno portato, nel 1988, a fondare l'Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC), ente scientifico delle Nazioni Unite: 2 mila scienziati provenienti da oltre 160 Paesi hanno avuto l'incarico di studiare il cambiamento climatico, le cause, il contributo delle attività umane, e di trovare soluzioni per mitigare il fenomeno.
Sugli scenari elaborati dall'IPCC fu redatto, nel 1997 a Kyoto (Giappone), un accordo internazionale per regolare le emissioni in atmosfera dei principali gas responsabili dell'effetto serra: il Protocollo di Kyoto.
Attenzione! Per diventare vincolante, l'accordo doveva essere sottoscritto da un numero di Paesi industrializzati tali per cui la somma delle loro quote di emissione di gas climalteranti doveva superare il 55% delle emissioni totali del pianeta. Si è dovuto attendere fino al 2005: grazie alla sottoscrizione della Russia, con la sua quota (17,4%) si è infine raggiunto e superato (61,6%) il valore di soglia. Otto anni dopo la definizione del Protocollo si poteva iniziare a pensare ad applicarlo.
16 febbraio 2005: Il protocollo di Kyoto è dunque entrato in vigore, sottoscritto e ratificato da 141 Paesi, di cui 39 industrializzati.
Per il periodo 2008-2012, ogni Stato aderente si è impegnato ridurre di quote percentuali variabili, rispetto ai livelli del 1990, le emissioni in atmosfera dei gas responsabili dell'effetto serra. La riduzione media prevista per i paesi industrializzati è del 5,2%, passando dall'8% dell'Unione Europea al 6% del Giappone.
Gli Stati Uniti, che da soli producono il 23,5% dei gas serra mondiali, non hanno aderito, dichiarando che le restrizioni imposte (riduzioni per il 7%) avrebbero danneggiato la loro economia. In base ad alcuni studi, si stima che un cittadino americano immetta ogni anno più di 20 tonnellate di CO2 equivalente (una misura dell'insieme delle emissioni di gas serra), contro le 7,18 tonnellate di un italiano e le 1,68 tonnellate di un nigeriano.
La Borsa dei Fumi. Gli Stati aderenti si sono impegnati ad attuare politiche industriali e ambientali che, tramite il controllo e la riduzione dei gas climalteranti, potranno rallentare il riscaldamento del pianeta e mitigarne le conseguenze. Per ridurre le emissioni sono certamente necessari anche ingenti investimenti sui versanti dell'efficienza energetica e sullo sviluppo di tecnologie per lo sfruttamento di energie rinnovabili.
Per chi non rispetta gli obiettivi concordati sono previste delle sanzioni economiche. Ma per ovviare all'inconveniente sono state pensate anche vie di uscita, i cosiddetti meccanismi flessibili: tramite la borsa delle emissioni (Emissions Trading) è possibile comperare quote dai Paesi che sono in credito di anidride carbonica, ossia che ne hanno prodotta ancora meno di quella pianificata. Al cambio del 2005 acquistare permessi di inquinamento costa 10-12 euro la tonnellata. In alternativa, per ottenere "sconti" e mantenersi nei parametri stabiliti dal trattato, è possibile realizzare in altre nazioni opere migliorative in campo energetico e ambientale, per esempio tramite interventi di forestazione.
L'Italia. Il nostro Paese ha bisogno dei meccanismi flessibili: si è impegnato a ridurre le emissioni del 6,5%, ma è in ritardo, addirittura nella definizione delle strategie da attuare, passaggio anch'esso obbligato.
Sole, vento, acqua e Terra. Per uscire dall'Era degli Idrocarburi e ridurre le emissioni si dovrà puntare anche sulle energie rinnovabili, ovvero generate senza rilascio di anidride carbonica: dal solare termico e termodinamico al fotovoltaico, dall'eolico al geotermico. La Germania detiene il record mondiale di impianti eolici ed il maggiore produttore di energia dal vento, mentre nel fotovoltaico è seconda solo al Giappone, e Spagna e Danimarca sono sulla stessa strada.
Secondo molti ricercatori, però, i traguardi definiti dal protocollo di Kyoto, anche se rispettati, non sono sufficienti per rallentare il riscaldamento globale e mitigarne gli effetti. Gli stessi scienziati dell'IPCC ritengono che, per stabilizzare le concentrazioni dei gas serra ai livelli attuali, occorrerebbe ridurre le emissioni del 60-80%.
In più, anche raggiungendo obiettivi ancora più ambiziosi di quelli prospettati a Kyoto, l'eccesso di effetto serra continuerà a farsi sentire per almeno due secoli.
E in tutto ciò, alcuni Paesi formalmente "non industrializzati" sono esenti da obblighi: tra questi, la Cina, l'India e il Brasile, che hanno invece una crescita economica talmente veloce che presto potrebbero diventare i principali inquinatori.