Sole e vento sono fonti energetiche intermittenti, cioè non disponibili 24 ore al giorno per tutto l'anno. Per poterle sfruttare nel modo più efficiente - e finalmente liberarci dalla dipendenza dalle centrali a combustibili fossili - è fondamentale accumulare l'energia che producono, da utilizzare quando solare ed eolico non possono darci elettricità.
In questo campo, l'Asia è all'avanguardia nel mondo: le batterie al litio sono state lanciate dalla Sony nel 1991. E ancora oggi il Giappone - insieme a Corea del Sud e Cina - è fra i maggiori produttori di sistemi di accumulo per le reti elettriche.
Ma l'Europa si sta muovendo. La Commissione europea ha definito «un imperativo strategico» la produzione di batterie: nei prossimi 10 anni, il Vecchio continente vuole colmare il divario che ha, rispetto all'Asia, nelle tecnologie di stoccaggio dell'energia. E la corsa si è scatenata, con finanziamenti, progetti di ricerca e apertura di stabilimenti industriali. In questo articolo facciamo il punto sulle iniziative principali.
Soluzioni europee. L'Unione Europea ha lanciato la European Battery Alliance, che nei mesi scorsi ha messo sul piatto 3,2 miliardi di euro per potenziare il settore. Fra i beneficiari italiani, EnelX, Solvey, Kaitek e Faam. La Faam, in particolare, sta aprendo la prima fabbrica italiana di batterie al litio nell'ex stabilimento Indesit a Teverola (Cs), reclutando 75 ex operai Whirlpool in cassa integrazione. Il progetto è stato finanziato con 427 milioni di euro. «Gestiremo l'intera filiera» dice il presidente Federico Vitali «dall'approvvigionamento delle materie prima fino alla produzione e alla gestione del riciclo. Abbiamo siglato un accordo per la fornitura di litio con il governo di Jujuy in Argentina. In questo modo il nostro Paese inizia a svincolarsi dalla dipendenza dei produttori asiatici».
Ma c'è un po' d'Italia anche nelle batterie allo zolfo, le famose "Zebra" (Zero emission battery research activity). sono batterie a basso costo rispetto a quelle al litio, perché usano come componente principale il comune sale da cucina. Il brevetto apparteneva alla DaimlerChrysler, ma nel 1999 fu acquisito da un imprenditore piemontese, Carlo Bianco che poi aprì uno stabilimento produttivo in Svizzera, la Mes-Dea. Del 2010 parte di questo brevetto è tornato in Italia, grazie a FZ Sonick Sa, una società che ha una sede a Montecchio Maggiore (Vi) ed è partecipata dalla Fiamm.
In caso di blackout. Nel frattempo Terna, il gestore della rete di distribuzione italiana ha varato diversi progetti-pilota, installando diversi tipi di batterie elettrochimiche (dal litio al sodio, fino a quelle a flusso): servono ad accumulare l'energia prodotta dagli impianti di trasporto eolico in Basilicata, Puglia e Calabria, ma anche per garantire la fornitura d'energia in caso di blackout elettrico in Sicilia e in Sardegna.
Enel X, invece, ha da poco lanciato un progetto-pilota nelle province di Brescia, Bergamo e Mantova: sta installando batterie più piccole per garantire lo stoccaggio energetico ad appartamenti e industrie alimentate da pannelli fotovoltaici.
Il ruolo della ricerca. Sul versante della ricerca è nato un altro progetto europeo, "Battery2030+": il Politecnico di Torino è stato scelto come unico partner italiano. «Dovremo inventare le batterie del futuro, fornendo tecnologie all'avanguardia all'industria europea» dice Silvia Bodoardo, docente di chimica sperimentale. «E un altro passo importante riguarda la formazione: stiamo organizzando un master che formi personale specializzato nella tecnologia delle batterie. Solo così potremo colmare davvero il divario con i colossi asiatici nella creazione e gestione dei sistemi di accumulo».
L'Enea (Ente nazionale energia e ambiente) sta puntando sulla batteria litio-zolfo, che ha una densità di energia superiore di 10 volte rispetto a quella agli ioni litio. E costa molto meno, dato che lo zolfo è un sottoprodotto dell'industria petrolifera. L'ostacolo che l'Enea si propone di superare è limitare l'impatto dello zolfo sugli altri componenti della batteria: questo elemento li fa degradare rapidamente, riducendone le prestazioni in breve tempo.
Il Dipartimento di chimica dell'Università di Bologna, invece, ha aperto una startup, Bettery, per sperimentare una nuova classe brevettata di batterie liquide al litio/ossigeno. La loro batteria si chiama Nessox, ed è un misto fra batterie solide al litio e batterie liquide: il suo principale vantaggio è l'elevato contenuto energetico rispetto alle tradizionali batterie al litio. «Si differenzia dalle altre batterie litio/ossigeno in quanto combina la leggerezza e le elevate prestazioni di questa tecnologia con la modularità delle batterie a flusso», afferma Francesca Soavi, coordinatrice del progetto. «La batteria si può ricaricare in pochi minuti sostituendo il liquido interno e ha un'autonomia doppia rispetto alle batterie litio-ione. Appena saranno disponibili nuovi investimenti saremo pronti a trasformare questa promettente tecnologia in un prototipo pre-industriale da verificare in ambienti reali».
A Trento, nel frattempo, il manager Salvatore Pinto ha fatto un accordo con l'università di Harvard per sviluppare, in esclusiva per l'Europa, il brevetto di una nuova batteria a flusso: invece del vanadio (elemento raro e costoso solitamente usato in questo tipo di batterie) usa un sistema di accumulo basato sul chinone, molecola che si estrae dai vegetali e dagli scarti del petrolio. Anche grazie a una campagna di crowdfunding che ha raccolto oltre 2,1 milioni, Pinto ha aperto presso la Fondazione Kessler di Povo (Trento) una startup, Green Energy Storage.
Stanno lavorando per aumentare la durata dello stoccaggio energetico.
Progetti per il futuro. Ma quali sono gli obiettivi energetici a lungo termine del nostro Paese? Il governo li ha indicati nel Pniec, Piano energia e clima, inviato a gennaio alla Commissione europea. «Entro il 2023» recita il Piano «si dovranno attivare nuovi sistemi di accumulo per quasi 1.000 MW (megawatt) ra idroelettrico ed elettrochimico». Le centrali idroelettriche, infatti, sono ad oggi l'unica tecnologia in grado di conservare energia anche per mesi: quando c'è un surplus di corrente elettrica, la si usa per pompare acqua in cima a una diga; quando c'è bisogno di energia, basta aprire la diga e la cascata aziona turbine che producono elettricità.
Il Pniec prevede 10 miliardi di euro di investimenti per realizzare «nuovi sistemi di accumulo, più 3,7 miliardi per batterie accoppiate agli impianti da fonti rinnovabili». Ma l'unico riferimento concreto del Piano è all'idroelettrico: è stato avviato uno studio, precisa il Pniec, «per individuare siti adatti a nuovi impianti di pompaggio basati su laghi o bacini esistenti». Una soluzione non priva di controindicazioni: le centrali idroelettriche, infatti, rischiano di sottrarre acqua all'agricoltura, per di più in un'epoca attanagliata dalla siccità e dal riscaldamento globale.
Oggi le energie pulite rappresentano in Italia circa un terzo delle fonti. La parte del leone è data proprio dall'idroelettrico (17,4%), seguito da fotovoltaico (7,8%) ed eolico (6,1%, dati Terna). E gran parte degli impianti eolici e solari sono al sud: «L'Italia potrebbe far fruttare questa ricchezza» commenta Stefano Passerini, direttore dell'Helmholtz Institute di Ulm, in Germania, uno dei laboratori di ricerca più prestigiosi sulle batterie. «Se potenziasse le reti di distribuzione elettrica al Sud, potrebbe esportare le energie verdi fino al Nord Europa».