Nonostante tutti i problemi correlati all'uso dei combustibili fossili, siamo ancora molto lontani dal poterli sostituire, almeno in modo significativo, e si continua a cercarli ovunque e con sempre maggiori investimenti. Una dei maggiori serbatoi di metano del pianeta è costituito dai clatrati idrati (o metano-idrati): i clatrati sono composti a gabbia, ossia reticoli di molecole che incorporano un gas, per esempio - in questo caso parliamo di molecole di acqua ghiacciata che, quasi come una conchiglia, inglobano al loro interno del metano.
Il clatrato di metano si forma soprattutto lungo le scarpate continentali, cioè lungo i margini dei continenti - dove la terraferma scende negli abissi oceanici - grazie all'accumulo di materiale organico che si deposita sul fondo.
Qui, per via delle trasformazioni chimico-fisiche legate sia alla pressione sui sedimenti sia all'azione di batteri, il materiale organico si trasforma in metano (soprattutto), etano e butano, e incorporato in strutture cristalline di acqua - che ghiaccia a causa delle elevate pressioni e delle basse temperature dei fondali oceanici.
Enormi, pericolose riserve. Diverse ricerche condotte decenni fa dall'U.S. Geolocical Survey (Usgs) hanno mappato, lungo le coste di gran parte degli oceani e nel permafrost (il terreno permanentemente ghiacciato) in prossimità delle aree artiche, giacimenti di clatrati che, secondo stime molto approssimative, potrebbero soddisfare le attuali richieste di gas metano da 80 a 800 anni.
È evidente come l'abbondanza e l'equa distribuzione abbiano da sempre solleticato gli interessi di molti Paesi, dagli Stati Uniti alla Russia, passando per Cina, Germania, Taiwan, Giappone e via dicendo - tutte le nazioni che sull'approvvigionamento energetico basano la loro potenza industriale.
L'etrazione di gas dai clatrati è stata però finora un'impresa difficile e costosa, oltre che pericolosa: il metano-idrato è infatti stabile solo a pressioni elevate, a centinaia di metri di profondità. Se si porta il clatrato verso la superficie, il reticolo cristallino che fa da guscio al gas si disfa e il metano sfugge, con conseguenze che possono essere molto serie - considerando le quantità in gioco nelle attività estrattive, sia per gli equilibri ambientali sia per la possibilità di devastanti esplosioni.
Per questi motivi, nonostante l'interesse, la mancanza di una tecnologia adeguata è sempre stata un ostacolo allo sfruttamento di questa risorsa.
Ciao petrolio? Adesso però nell'arco di un solo mese sia il Giappone sia la Cina hanno annunciato di aver messo a punto tecnologie studiate già a partire dai primi anni 2000 e di essere in grado di estrarre il metano dai clatrati in modo industriale, che vuol dire in grandi quantità e in modo sicuro e presumibilmente economico, considerato che 1 metro cubo di clarato può incapsulare fino a 160 metri cubi di gas (a temperatura e pressione ambiente).
Jiang Daming, uno dei ministri del Governo della Repubblica Popolare, non ha nascosto l'entusiasmo dichiarando che "l'evento segna una svolta che dà inizio a una nuova rivoluzione energetica globale". Col metano-idrato disponibile in grandi quantità, la Cina potrebbe trasformare le sue centrali a carbone in centrali a gas, riducendo così in modo significativo l'impatto dell'inquinamento sul Paese (e sul pianeta), oltre che dare ulteriore impulso alla sua già travolgente economia. Anche per l'economia giapponese si tratterebbe di un ulteriore, notevole vantaggio - con la riduzione della dipendenza dai Paesi produttori di combustibili fossili - oltre che di una decisa risposta alle richieste di abbandono del nucleare, dopo i fatti di Fukushima, richieste che finora non sono state soddisfatte.
Pare che i due Paesi abbiano già iniziato attività estrattive sperimentali nelle loro acque territoriali. La Cina non ha spiegato con quali tecnologie, mentre il Giappone ha genericamente parlato di un sistema capace di rompere i reticoli di clatrato in profondità, in modo tale che l'acqua si diluisca in acqua mentre il metano risale all'interno di condotti ad hoc.
Come e chi. In mancanza di informazioni sulle tecnologie messe in campo, e forse anche se ci fossero, restano in ogni caso da considerare le obiezioni di fondo, quelle non economiche ma ambientali: l'estrazione di metano dai clatrati è probabilmente ancora da considerare pericolosa. Grandi quantità di gas che sfuggono in acque poco profonde avrebbero gravi conseguenze sull'ambiente e, sfuggendo poi in atmosfera, possono provocare drammatiche esplosioni in superficie o contribuire a un incalcolabile peggioramento dell'effetto serra atmosferico.
A queste obiezioni Cina e Giappone rispondono che l'estrazione industriale inizierà solo quando ci saranno ragionevoli certezze e sicurezze. Il problema, però, è "come" vengono stabililiti i criteri e "chi" li avalla.