L'11 marzo 2011 un terremoto di magnitudo 9 e uno tsunami innescarono (anche) il disastro nucleare di Fukushima, in Giappone. I lavori di smantellamento delle strutture danneggiate delle centrali di Fukushima I (Dai-ichi) e II (Dai-ni) e di rimozione dei materiali radioattivi sono ancora ai nastri di partenza. Secondo le stime fin troppo ottimistiche della Tepco (Tokyo Electric Power Co.), la società che gestisce quegli impianti, occorreranno 30 anni e 76 miliardi di dollari per recuperare il combustibile nucleare inutilizzato, rimuovere i detriti fusi delle barre, demolire i reattori e sbarazzarsi dell'acqua di raffreddamento contaminata che continua ad accumularsi nelle vasche di contenimento della centrale.
Dal sisma all'esplosione. Il terremoto che quel giorno fece tremare la regione del Tōhoku, la parte nord-orientale dell'isola di Honshu, provocò un blackout delle linee elettriche della centrale di Fukushima Dai-ichi, che si appoggiò allora ai generatori di emergenza, allagati tuttavia dallo tsunami 50 minuti dopo le scosse.
La mancanza di elettricità mandò fuori uso le pompe per la circolazione dell'acqua di raffreddamento: il calore si accumulò allora nei noccioli dei reattori coinvolti, che si danneggiarono e sprigionarono vapori radioattivi e idrogeno. Fu la crescente pressione nei piani superiori degli edifici a provocare nei giorni seguenti diverse esplosioni nelle unità 1, 3 e 4 della centrale, e a liberare a più riprese in atmosfera emissioni radioattive.
Che cosa resta da fare. Ora occorre intervenire su più livelli. Il primo riguarda il recupero delle barre di combustibile ancora posizionate nella parte superiore dei reattori. La Tepco ha da poco annunciato di aver completato la rimozione di tutte le 566 barre del reattore 3, il primo per il quale sia stato completato il delicato lavoro, eseguito in modo automatizzato con una gru azionata a distanza. La rimozione da tutti e tre i reattori della centrale di Dai-ichi dovrebbe essere completata per il 2031 - ma questa è "la parte facile" del processo di smantellamento.
Più difficile sarà rimuovere il materiale fuso all'interno del contenitore del nocciolo, del quale si ignorano le quantità, lo stato e persino l'esatta localizzazione; il prossimo anno si testerà un braccio meccanico operato da remoto per rimuovere piccole quantità di detriti nel reattore numero 2, che presenta quantità di radiazioni e calore talmente elevati da danneggiare persino i robot.
acqua radioattiva. La sfida più urgente resta tuttavia quella di sbarazzarsi delle ingenti quantità d'acqua di falda pompate nei circuiti e sugli edifici delle centrali, in emergenza, per abbattere in parte il calore e contenere la fusione dei noccioli - acqua, pertanto, contaminata.
In dieci anni se ne sono accumulate 1,24 milioni di tonnellate, oggi stoccate in più di mille serbatoi che occupano pressoché tutto lo spazio disponibile nell'area delle centrali.
L'acqua è stata trattata per essere depurata da molti elementi radioattivi, ma rimane contaminata da trizio, un isotopo dell'idrogeno relativamente poco dannoso e assai difficile da separare dalle molecole di H2O.
panni sporchi da lavare in mare. Poiché il decadimento del trizio rilascia soltanto radiazioni beta a bassa energia e l'isotopo è anche naturalmente prodotto nell'alta atmosfera, la sua presenza suscita modeste preoccupazioni per la salute. Perplessità in più nascono dalla presenza nelle acque trattate anche di altri isotopi radioattivi, come rutenio, cobalto, stronzio e plutonio.
Dal canto suo la Tepco ha promesso che ridurrà la loro quantità il più possibile, ma il tempo stringe: al ritmo attuale di 160 tonnellate di acqua in più al giorno, lo spazio di stoccaggio sarà esaurito nell'estate 2022 - e a quel punto non vi saranno che soluzioni di emergenza. La proposta più accreditata tra quelle sul tavolo è di permettere che l'acqua venga liberata in mare, nei prossimi decenni, in modo misurato e progressivo, così che gli elementi radioattivi si diluiscano nell'oceano. Una soluzione che preoccupa molti, dagli ambientalisti all'industria ittica.