L'elettricità è una fonte di energia secondaria: finché non saremo capaci di catturare e usare direttamente quella dei fulmini dovremo continuare a produrla bruciando combustibili oppure sfruttando i dislivelli d'acqua, i venti o il Sole.
È anche un tipo di energia particolare. Quella a cui ci riferiamo qui dovremmo chiamarla elettrocinetica: è l'energia che una corrente elettrica (il moto degli elettroni lungo un cavo), prodotta da un generatore di corrente o dalle reazioni elettrochimiche in una batteria, percorrendo un circuito, può fornire a un motore elettrico, una resistenza, un lettore mp3 per farli fuzionare. Fatta eccezione per le batterie, l'elettricità non si può accumulare. Per fare fronte alle necessità di una nazione deve essere prodotta quando serve e nella quantità che serve, un fatto che limita la diffusione su vasta scala di alcune tecnologie, come il fotovoltaico.
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A mettere in azione il generatore è il "motore" della centrale elettrica e per distinguere un motore da un altro usiamo due fattori: il tipo di combustibile e la potenza (kWatt, MegaWatt eccetera). Combustibile e potenza ci aiutano a descrivere le tecnologie: nelle prossime pagine facciamo un riepilogo delle principali tecnologie che usiamo per produrre elettricità a livello industriale e facciamo il punto sulla ricerca.
Le centrali termoelettriche sono le più diffuse al mondo e altrettanto comune è il terzetto di combustibili maggiormente utilizzato come fonte di calore: carbone (il più usato al mondo), petrolio e gas naturale (oggi il più usato in italia).
La prima centrale a carbone in Europa è inglese (1882), la seconda italiana, del 1883, costruita a Milano, a due passi dal Duomo. I vantaggi del carbone, e di lì a poco del petrolio, erano a quell'epoca l'abbondanza e l'economicità: vantaggi che per molto tempo hanno tagliato le gambe alla ricerca di alternative. Un secolo più tardi il carbone era ancora la fonte di energia primaria più abbondante (e lo è tutt'ora), ma stava cambiando lo scenario economico per tutti i combustibili fossili e in più, col tempo, si è capito quali danni possono fare all'ambiente in cui viviamo.
PRO E CONTRO Oggi i vantaggi del termoelettrico tradizionale sono quelli tipici di una tecnologia matura e con numerose "varianti" consolidate - le centrali a turbogas, il ciclo combinato e altre - che permettono di sfruttare al meglio il combustibile, inquinando di meno, e arrivano a erogare potenze dell'ordine dei GigaWatt (GW) in modo continuo e per periodi di tempo prolungati.
Gli svantaggi sono sostanzialmente tre: la stessa fonte di energia, che non è rinnovabile ma destinata a esaurirsi; la variabilità del prezzo del combustibile, che condiziona il prezzo dell'energia; l'inquinamento prodotto bruciando petrolio, carbone e, in misura minore, gas naturale (metano), con tutto ciò che segue in fatto di impatto ambientale a livello sia locale (smog e polveri) sia planetario (riscaldamento globale e cambiamenti climatici).
BUONA LA TECNOLOGIA, MEGLIO L'AMBIENTE Tra le tecnologie più interessanti c'è un'evoluzione molto efficiente della centrale a gas: è il ciclo combinato (CCGT, Combined Cycle Gas Turbine). Il recupero è il concetto che sta alla base di questa soluzione: in sintesi, la miscela rovente di aria e gas (a 500-600 °C) che fa ruotare la turbina a gas, in uscita dal primo sistema contiene ancora abbastanza energia per azionare una turbina a vapore.
Non c'è un solo tipo di ciclo combinato ma, in generale, per tutte le sue varianti il rendimento complessivo è superiore al 50% contro il 30-35% delle tradizionali turbine a vapore. Questo livello di efficienza permette di ridurre sia i consumi sia le emissioni rispetto agli impianti convenzionali.
Ci sono anche sistemi che raggiungono rendimenti ancora superiori (80-85%), per esempio la cosiddetta cogenerazione, dove un comune motore a combustione interna - per esempio quello di un'automobile - viene applicato direttamente a un generatore di corrente e i gas di scarico sono usati per scaldare acqua per uso sanitario o per il riscaldamento. La dimensione di queste soluzioni è tuttavia limitata, da pochi kiloWatt a una decina di MegaWatt, adatta a una produzione locale (piccole industrie, condomini), e hanno per adesso scarsa diffusione.
CATTIVA LA TECNOLOGIA... Per l'ambiente il gas è "il male minore" tra i combustibili fossili nonostante i progressi fatti nelle tecnologie di pretrattamento - dal carbone bonificato al gasolio desolforato - e di cattura di NOx (gli ossidi di azoto e le loro miscele) e CO2. La combustione di gas metano, infatti, non produce polveri e composti solforati (responsabili delle piogge acide) e ha emissioni contenute di CO e NOx.
Il pretrattamento dei combustibili e l'abbattimento delle emissioni sono però soluzioni costose e persino tra i Paesi industrializzati c'è chi fa resistenza ad adottarle su larga scala per via delle ricadute sul prezzo dell'energia e sulla competitività dell'industria: gli Stati Uniti sono forse il caso più eclatante, ma l'elenco di chi vorrebbe procedere in deroga, anche parziale, agli accordi di Kyoto per la riduzione dei gas serra (GHG, greenhouse gas) è lungo e include Australia, Nuova Zelanda, Italia e molti altri. I colossi asiatici, Cina e India, e le economie emergenti, invece, il problema non se lo pongono: carbone, petrolio e tecnologie a basso costo (e perciò più inquinanti) sono le scelte principali per sostenere il loro sviluppo economico.
Un tipo particolare di "termoelettrico" è la geotermia: in questo caso è la Terra a fare da fonte di calore, che è quello residuo della formazione del pianeta alimentato dalle reazioni nucleari che avvengono al suo interno col decadimento di uranio, torio, potassio e altri isotopi.
L'energia termica della Terra è molto elevata e costante, ma è solo in parte raggiungibile e utilizzabile. In generale, dalla superficie verso l'interno, la temperatura aumenta di circa 3 °C ogni 100 metri (30 °C/km), un valore modesto, di nessuna utilità per una centrale elettrica.
GEO CONVENZIONALE Ci sono però delle zone "privilegiate" dove tra i 5 e i 15 km nel sottosuolo si possono registrare temperature fino a 20 volte superiori: sono in prossimità di zone di subduzione, di fratture della crosta terrestre o di masse magmatiche fluide o in via di raffreddamento. Non è una condizione comune sulle terre emerse, e non è neppure una condizione sufficiente: è necessaria anche la presenza di un "serbatoio geotermico", ossia di acqua ad alta temperatura o di vapore surriscaldato. Estratto dal sottosuolo per azionare la turbina di una centrale, il fluido deve poi essere reimmesso nel suo serbatoio naturale sia per mantenere l'equilibrio geologico sia per continuare a disporre del fluido vettore che porta in superficie il calore.
GEO NON CONVENZIONALE Quando ci sono le condizioni ideali di temperatura e invece manca (o è insufficiente) il fluido vettore si può rimediare pompando in profondità acqua che viene poi estratta alla temperatura e alla pressione voluta. Questo è l'Enhanced Geothermal System (EGS), tecnologia che promette di rendere economico lo sfruttamento di grandi "giacimenti" geotermici altrimenti inutilizzabili. È però una tecnologia recente, ancora più dimostrativa che produttiva: ci sono studi e sperimentazioni in corso (Usa, Italia, Svizzera, Francia, Germania, Austria), ma per la produzione di elettricità su vasta scala dovremo aspettare probabilmente altri 10-15 anni.
PRO E CONTRO La sfruttamento della geotermia per produrre energia elettrica è un altro primato italiano: nel 1905, a Larderello (Toscana), entrava in funzione la prima centrale geotermica del mondo. Il motore installato erogava una potenza di... 20 kW! Oggi, oltre un secolo dopo, l'Italia è al quinto posto nel mondo, con una potenza installata di circa 800 MW, in una classifica guidata dagli Stati Uniti con 2.700 MW. Non sono quantità significative... perché?
Il "calore" della Terra è una risorsa inesauribile e gratuita. La geotermia convenzionale però non è mai decollata sia per lo scarso rendimento della tecnologia (5-25%, a seconda della tipologia degli impianti) sia per i costi di controllo e abbattimento di mercurio e idrogeno solforato, presenti nelle emissioni in atmosfera dalle torri di raffreddamento. In più non sono ancora stati del tutto sciolti i dubbi relativi a possibili problemi collaterali, dalla sismicità indotta alle frane, dalla contaminazione alla riduzione di volume delle falde acquifere superficiali.
A tutto ciò occorre aggiungere che nel secolo scorso l'economicità dei combustibili fossili non ha favorito investimenti per migliorare la tecnologia (una costante per tutte le tecnologie alternative) né incoraggiato la ricerca di sacche geotermiche facilmente sfruttabili. Una situazione destinata a cambiare, ma in quali tempi?
Il contributo del solare termodinamico alla produzione di energia elettrica è irrisorio: a fine 2008 erano installati e in funzione - nel mondo - impianti per una potenza complessiva di 1.000 MW, con una previsione di siluppo (progetti avviati) che dovrebbe portare a 6-7.000 MW entro il 2011.
È però anche la più promettente alternativa solare ai combustibili fossili in quanto permette di accumulare calore da usare in assenza di Sole. In ciò si distingue nettamente dal fotovoltaico, più diffuso a livello di micro installazioni ma poco adatto alla generazione di elettricità su vasta scala.
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In Europa, all'avanguardia della ricerca c'è la Spagna dove a fine 2008 risultavano operativi 3 impianti - per un totale di 63 MW - e in costruzione altri sette per ulteriori 390 MW. Un primato molto "incoraggiato" visto che i produttori possono godere di incentivi fino a 180 euro/MWh a fronte di costi di produzione medi di 290 euro/MWh e che possono raggiungere i 540 euro, come nel caso del termodinamico ad accumulo del progetto Archimede, in via di completamento in Italia.
Archimede è un impianto pilota da 5 MW integrato con la centrale turbogas a ciclo combinato di Priolo Gargallo, in Sicilia. La taglia piccola della centrale solare è giustificata dal fatto che è un progetto di ricerca, mentre l'integrazione con una centrale esistente permette di sfruttare il sistema turbine di quest'ultima, senza doverne costruire di nuove ad hoc.
L'ìmpianto archimede è del tipo a concentratori lineari. I concentratori sono un insieme di 54 collettori parabolici in linea, disposti su 18 file, motorizzati per seguire la posizione del Sole: l'impianto occupa circa 30 ettari (300.000 mq, equivalenti a 0,3 kmq). La radiazione solare diretta è concentrata su di un "tubo ricevitore" posto nel fuoco della parabola. Nel tubo circola una miscela di sali fusi che, riscaldati, sono poi immagazzinati in un sistema di accumulo che permette di avere un margine operativo fino a 16 ore in mancanza di Sole.
IDROELETTRICO La produzione netta di energia elettrica da fonte idrica in Italia nel 2009 è stata di 52.843 GWh, il 19% circa della produzione elettrica nazionale e più o meno l'81% della produzione da fonti rinnovabili (idrica, geotermica, eolica, fotovoltaica). Come tipologie di impianti si parla di grande idroelettrico (grandi invasi e dighe), idroelettrico minore (da 3 a 10 MW) e micro idroelettrico (sotto i 3 MW). Tolte la variabilità da un anno a un altro, dovuta alle condizioni meteorologiche, e gli eventuali ostacoli posti dai vincoli paesaggistici allo sfruttamento di risorse note ma inutilizzate, per il grande idroelettrico non sembrano esserci prospettive di ulteriore sviluppo: la tecnologia è matura e affidabile e le risorse utilizzabili sono già sfruttate.
Potrebbe, al contrario, esserci una riduzione di produzione nei prossimi anni per la possibile applicazione integrale delle norme cosiddette del Deflusso Minimo Vitale (DMV), che definiscono la portata minima di acqua che deve essere rilasciata a valle di un invaso o di una diga per garantire un flusso sufficiente a mantenere "vivo" il fiume e il suo ecosistema. L'uso dell'acqua in parziale deroga a queste norme ha tra l'altro fortemente contribuito ad aumentare il livello di inquinamento del sistema idrico italiano, e ora le Regioni sono chiamate a rimediare.
Per le altre tipologie dell'idroelettrico (mini e micro) ci sono invece ampie possibilità di sviluppo, ma a livello locale (comunità, piccole imprese, aree isolate...), come per il fotovoltaico. Questo fatto non sminuisce l'importanza di tali soluzioni che, sommate e interpretate nell'ottica di una rete distribuita dell'energia, sono sempre economicamente competitive rispetto alle altre rinnovabili e possono contribuire a ridurre il fabbisogno di combustibili fossili.
EOLICO Questa è la tecnologia che si è maggiormente sviluppata negli ultimi anni. Anche per l'eolico, la differenza tra un sistema e un altro la fa la taglia: c'è quello "piccolo" tipicamente adatto all'uso locale, quello "medio" con potenze da 250 a 1.000 kW e quello "grande" con potenze da 1 a 3 MW e rotori fino a 100 metri di diametro, montati su piloni alti fino a 105 metri.
Un'altra distinzione è tra centrali on-shore (a terra) e off-shore, in mare aperto: è quest'ultima tipologia ad avere goduto degli sviluppi più promettenti, perché permette di impiantare un elevato numero di pale con un impatto paesaggistico irrilevante. La più grande centrale al mondo di questo tipo è inglese: costruita a pochi chilometri dalla costa, nel Mare del Nord, è composta da 80 aerogeneratori per una capacità complessiva di 160 MW elettrici. I generatori occupano una superficie di 27 kmq, praticamente la metà di una città come Pavia.
In Italia, dove il rendimento dell'eolico non supera il 30%, l'Enea è impegnata in due progetti pilota off-shore. Il primo è anche un primato mondiale: l'installazione (nel 2007) di un impianto eolico "galleggiante" nel Canale di Otranto, ancorato a 20 km dalla costa. All'installazione di una macchina da 70 kW (per acquisire dati sperimentali) seguirà quella di un generatore da 2-3 MW. Il secondo prevede il riutilizzo di una piattaforma di perforazione in disuso a 22 km dalla costa della Sicilia, dove si vorrebbe installare un singolo aerogeneratore da 4,5 MW (anch'esso un prototipo).