L'eruzione più antica dei Campi Flegrei di cui si hanno chiare testimonianze risale a 40-39.000 anni fa e ha dato origine all'Ignimbrite campana (l'ignimbrite è un tipo di deposito vulcanico originatosi da una forte esplosione). «È stata l'eruzione più violenta dell'area mediterranea negli ultimi 200.000 anni. I materiali emessi sono presenti in tutta la zona con spessori di decine di metri, ma ceneri sono state ritrovate anche in Bulgaria e in alcune aree della Russia», racconta Roberto Isaia dell'Ingv. «È stata proprio l'eruzione dell'Ignimbrite campana a generare la caldera dei Campi Flegrei.
Le caldere sono il risultato dello sprofondamento del suolo dovuto allo svuotamento di una camera magmatica sottostante. Dopo quella grande eruzione ve ne fu un'altra importante, chiamata del "Tufo giallo napoletano", avvenuta 15.000 anni fa, quando furono emessi 20-40 chilometri cubi di materiale. Un'eruzione imponente ma di un ordine di grandezza inferiore alla precedente, che fu di circa 320 chilometri cubi», continua Isaia.
Per i monumenti. Il materiale dell'Ignimbrite campana è stato utilizzato per molti monumenti napoletani, mentre con il Tufo napoletano è stata costruita la maggior parte della città di Napoli. «Negli ultimi anni è venuta alla luce la testimonianza di un'ulteriore eruzione, che si verificò 29.000 anni fa, chiamata di Masseria del Monte, che produsse una quantità di materiale simile a quella del Tufo napoletano».
Il monte Nuovo è il risultato di un'eruzione considerata di bassa intensità avvenuta nel 1538, l'ultima dei Campi Flegrei. Il cono oggi visibile si formò nei primi due giorni e fu legato a un'attività chiamata freato-magmatica, che si produce quando acqua in profondità viene improvvisamente riscaldata dal magma che la trasforma istantaneamente in vapore, il quale viene in superficie trascinando materiale magmatico. Dopo i primi due giorni l'attività sembrò scemare, ma l'eruzione riprese per un altro paio di giorni. Tra una fase e l'altra alcuni curiosi salirono sulle pendici del vulcano e rimasero vittime della seconda esplosione: perirono almeno 24 persone. «Questa eruzione», sottolinea Isaia, «testimonia quanto ancora il vulcano sia attivo e ci dà indicazioni su quello che potrebbe essere uno scenario eruttivo, non solo per come avviene l'eruzione, ma anche per i fenomeni che la precedono, cioè i precursori».
È "sempre accaduto". «È un fenomeno che nei Campi Flegrei si è sempre verificato, sia a lungo sia a breve termine, perché il vulcanismo dell'area è sempre stato preceduto da deformazioni del suolo, tanto che prima di un'eruzione di 5.000 anni fa l'area centrale della caldera si è sollevata di circa 100 metri. E l'eruzione del Monte Nuovo fu preceduta dall'innalzamento di Pozzuoli di una decina di metri», spiega Isaia. L'Ingv tiene una precisa registrazione dei movimenti del terreno da oltre un secolo. «Dagli inizi del '900 fino agli anni Cinquanta si è avuto un lento abbassamento del suolo, poi, a fasi alterne, si sono avuti vari periodi di sollevamento. Ci fu un abbassamento tra il 1984 e il 2005, quindi una ripresa importante all'insù che prosegue ancora oggi, con una media di circa 15 millimetri al mese», spiega Francesca Bianco dell'Ingv.
Nell'area del Rione Terra, l'innalzamento dal 2005 a oggi è stato di circa 115 cm.
La Solfatara è uno dei 70 centri eruttivi che si sono attivati dopo l'eruzione del Tufo napoletano. Il vulcano della Solfatara ha 4.300 anni e una sua peculiarità sta nel fatto che l'attività eruttiva è avvenuta contemporaneamente a quella del vulcano di Averno, che si trova sul lato opposto della caldera. «La Solfatara è famosa perché oggi presenta una serie di manifestazioni geotermali e fumaroliche, con le due fumarole più calde dell'area. La sua attività fu abbastanza particolare, perché nell'arco di pochi decenni si ebbero varie eruzioni che diedero origine a una caldera dalla forma molto irregolare, non così evidente come lo è per esempio quella di Monte Nuovo», spiega Isaia.
Sotto controllo. L'attività dei Campi Flegrei è costantemente seguita attraverso parametri fisici e geochimici. La rete di monitoraggio misura la sismicità, la deformazione del suolo e il materiale che viene emesso. «I dati sono raccolti dal centro di sorveglianza dove in automatico viene eseguita una prima analisi, seguita da una seconda, in dettaglio, realizzata dagli analisti dei vari settori. La rete sismica è composta da circa 35 stazioni, tra fisse e mobili, che misurano velocità e accelerazione del suolo», spiega Danilo Galluzzo, dell'Ingv. Vi è poi la rete Gnss (Global Navigation Satellite System), che monitora la quota di alcuni punti di riferimento dell'area grazie a una rete di satelliti, e un sistema che controlla le variazioni di gravità nel sottosuolo e l'inclinazione del terreno, che possono indicare movimenti in atto sotto la superficie. A ciò si aggiungono stazioni per il rilevamento della chimica dei materiali emessi e osservazioni all'infrarosso in grado di evidenziare variazioni di temperatura del terreno che possono essere indice di magma in risalita. Infine, vi è il sistema Medusa, che permette di monitorare le deformazioni del fondale marino.
Nei mesi che hanno precedeuto la scossa di magnitudo 4.4 del 20 maggio 2024 si sono verificati vari sciami sismici, come quelli del 18 agosto 2023, del 7 settembre e del 2 ottobre, con decine di eventi la cui magnitudo massima è stata di 4,0. L'area interessata, già dagli anni '80, è compresa tra Pozzuoli, Solfatara, Pisciarelli e Agnano, con eventi che dal 2018 si verificano anche nel Golfo di Pozzuoli. La profondità degli ipocentri raramente supera i 4 km. I sismi sono legati all'area che si solleva, centrata sul Rione Terra (nella parte storica di Pozzuoli) o poco più a sud.
Le analisi dei gas che fuoriescono dal terreno mostrano poi che sotto la superficie vi è un aumento di pressione dei gas e dei fluidi concentrato nell'area di Solfatara-Pisciarelli, dove, in media, si ha una fuoriuscita di oltre 3.000 tonnellate di anidride carbonica al giorno. Questo movimento di gas e fluidi in pressione può dare origine a sismi fino a magnitudo 5.
Sollevamento. Cosa faccia aumentare la pressione non è semplice da determinare. I dati, tuttavia, indicano che il sollevamento potrebbe essere prodotto da una risalita di fluidi e gas che si trovano a profondità probabilmente superiori a 6-8 km, all'interno di una vasta e articolata camera magmatica profonda.
Campi Flegrei, Vesuvio, Procida, Ischia e altri vulcani della zona hanno un'origine comune. «Tutta l'area è caratterizzata da ciò che si trova 20-25 km di profondità, dove le condizioni determinano la formazione di roccia fusa. Questa risale lungo condotti separati; a un certo punto il materiale in risalita si ferma e staziona nella crosta formando le camere magmatiche. Queste ultime, a loro volta, diventano i sistemi di alimentazione dei diversi vulcani campani. Si può dire quindi che i vulcani campani abbiano una comune area di formazione del magma ma anche camere magmatiche indipendenti, che non si parlano tra loro e danno origine a una storia eruttiva diversa», precisa Guido Ventura.
I tre scenari possibili. Le ricerche permettono di ipotizzare eruzioni di "taglia" piccola, media e grande. «I tre scenari fanno riferimento a eruzioni del passato», spiega Francesca Bianco. Da uno studio probabilistico, che ha considerato gli ultimi 5.000 anni di attività, è emerso che in caso di riattivazione si avrebbe circa il 95% di probabilità che si verifichi un'eruzione di taglia media o minore. In base a questi scenari, la Protezione Civile ha messo a punto un piano di emergenza e conseguenti piani di evacuazione. Sono state definite due zone: rossa e gialla. Per la rossa, che verrebbe distrutta, si prevede un'evacuazione preventiva in caso di allarme; comprende circa 500.000 abitanti nei comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto per intero e parte dei comuni di Giugliano in Campania, Marano di Napoli e alcune zone di Napoli. La zona gialla sarebbe esposta a una ricaduta significativa di ceneri vulcaniche ma potrebbe essere evacuata solo temporaneamente.
Nonostante i pericoli, nell'area dei Campi Flegrei si continua a costruire seguendo i piani regolatori dei sei comuni che vi gravitano.
«Dal 1972 – ossia dal primo fenomeno di bradisismo intenso del secolo scorso – a oggi, della popolazione che è andata a insediarsi nella zona di Napoli, metà lo ha fatto nella grande caldera; in pratica vi è stato un aumento di circa 140.000 persone», spiega l'architetta Anna Savarese, Direttore regionale di Legambiente Campania. Molte di loro sono andate in case preesistenti, ma un buon numero è entrato in case nuove. «Si può dire comunque che circa il 20% delle abitazioni sono abusive», continua.
L'area rossa c'è, ma... Tutto questo è andato a scapito delle vie di fuga che, pur essendoci sulla carta, sono insufficienti a far scorrere il traffico nel caso di eruzione imminente. Legambiente e, recentemente, anche alcuni gruppi politici hanno chiesto di bloccare del tutto le costruzioni e di trovare il modo di delocalizzare la popolazione a partire da chi vive nella "zona rossa". Sul Vesuvio, che fa parte del medesimo mondo magmatico, sono circa 20 anni che c'è una legge che vieta nuove costruzioni nell'area rossa, anche se una serie di successivi regolamenti (come la possibilità di aumentare il volume delle abitazioni o il bonus casa, cui si aggiunge anche qui l'abusivismo) ha visto una riduzione delle nuove costruzioni, ma non un blocco totale.