«La Coca-Cola è la cosa più vicina al capitalismo che si trovi in una bottiglia». Con queste parole lo scrittore e giornalista britannico Tom Standage nel suo saggio Una storia del mondo in sei bicchieri (Codice edizioni) riassume quello che è successo nell'ultimo mezzo secolo attorno a una bevanda (e alla sua diretta concorrente) che ancora oggi rappresenta molto più di una semplice bibita zuccherata. Sentenziando poi: «Che la libertà, o per lo meno, che lo stile di vita occidentale abbia come simbolo una bevanda americana è qualcosa che oggi, alla luce della globalizzazione, diamo per scontato».
Eppure l'espansione sul mercato mondiale di marchi come Pepsi e Coca-Cola non è stata né una cosa banale né facile: i due marchi dalla fine della Seconda guerra mondiale hanno dovuto fare i conti con la geopolitica, coinvolgendo nelle loro strategie commerciali leader politici e militari insospettabili.
la coca-cola trasparente. Il più insospettabile di tutti è il generale sovietico Georgij Zhukov, l'eroe della resistenza russa contro l'invasione nazista, che nel 1945 comandava la zona di occupazione sovietica in Germania. Il principale generale di Stalin si guadagnò onori e una sfilza di medaglie, ma non riuscì a ottenere qualcosa molto più terra terra: la Coca-Cola. Da quando l'aveva assaggiata, se ne era innamorato. Ma in Urss la bevanda era un simbolo dell'Occidente capitalista e la sua importazione era vietata. Così, Zhukov chiese al generale americano Mark Clark, allora suo alleato contro la Germania nazista, se fosse possibile rendere la Coca-Cola trasparente, in modo che assomigliasse alla vodka. Clark trasmise il messaggio al presidente Usa Harry Truman, che a sua volta contattò James Farley, presidente di Coca-Cola Export Corporation.
Poiché la tipica sfumatura bruno-rossastra della Coca-Cola derivava dalla colorazione del caramello, e rimuoverla dalla ricetta non ne avrebbe mutato il sapore, nel 1946 un impianto di imbottigliamento austriaco consegnò al maresciallo Zhukov la prima partita da 50 casse di Beszvetnaja Koka-Kola. La bevanda "incolore" (questo il significato della parola russa beszvetnaja) era confezionata in bottiglie con bordi dritti per distinguerle da quelle sinuose dell'originale e aveva una stella rossa sovietica stampata sul tappo, per somigliare di più alla vodka. Grazie all'escamotage Zhukov poté bere Coca-Cola fino alla sua morte, nel 1974, quando in Urss dominava ormai un'altra bibita occidentale: la Pepsi.


l'amata Pepsi di Krusciov. L'ascesa della Pepsi in Russia iniziò alla fine degli Anni '50, quandi il presidente degli Stati Uniti Eisenhower cercò di rinvigorire l'immagine degli Usa per contrastare i progressi aerospaziali dell'Urss, che aveva lanciato il primo satellite artificiale, lo Sputnik.
Così nel 1959 fu organizzata un'Esposizione nazionale americana a Mosca, facendo mostra di marchi come Kodak, General Electric, Pepsi e Disney, in modo da mostrare al popolo sovietico quanto fosse migliore la vita sotto il capitalismo. L'evento clou dell'Esposizione fu l'accesa discussione che si tenne il 24 luglio tra il vicepresidente americano, l'anticomunista convinto Richard Nixon, e il leader sovietico Nikita Krusciov sui meriti dei relativi sistemi industriali.
Apparentemente per placare gli animi (e per realizzare un colpaccio promozionale), il manager della Pepsi Donald Kendall offrì al leader sovietico un bicchiere della sua bevanda. La bibita piacque così tanto a Krusciov che acconsentì a fare di Pepsi il primo prodotto occidentale venduto sul mercato sovietico. Per passare dalla teoria alla pratica i negoziati durarono più di un decennio: solo nel 1974 fu aperto, a Novorossijsk, il primo impianto sovietico di imbottigliamento della Pepsi.
La flotta sovietica per la pepsi. Una delle difficoltà nel concludere l'accordo era stato il fatto che il rublo, con cui si pagavano le bibite, non poteva essere convertito in dollari. Così si ricorse al baratto: Pepsi forniva all'Urss le bevande e le attrezzature per l'imbottigliamento in cambio dei diritti esclusivi di distribuzione negli Usa della vodka Stolichnaja. Dal 1978 gli impianti sovietici produssero 216 milioni di bottiglie l'anno e nel 1988 Pepsi fu la prima azienda occidentale a fare pubblicità sulla tv sovietica, con una serie di campagne aventi per testimonial Michael Jackson. L'accordo iniziò a sgretolarsi quando nel 1979 l'Unione Sovietica invase l'Afghanistan e gli Stati Uniti imposero un boicottaggio della vodka Stolichnaja.
Nel 1989, non sapendo più come pagare la Pepsi, i sovietici decisero di regolare i conti cedendo alla società Usa una collezione di 17 vecchi sommergibili, fregate, incrociatori e corazzate da vendere come rottami. L'accordo diede temporaneamente alla Pepsi il possesso della sesta marina più grande del mondo (che poi fu ceduta a un demolitore norvegese) e portò Donald Kendall a vantarsi scherzosamente con Brent Scowcraft, consigliere per la sicurezza nazionale di George W. Bush, di "disarmare l'Unione Sovietica più velocemente di lui".
Coca-Cola alla riscossa. Nel frattempo la Coca-Cola non era rimasta a guardare. Nel 1979 l'amministratore delegato J. Paul Austin sfruttò la sua amicizia con l'allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter per ottenere udienza con i leader sovietici e negoziare l'esportazione della sua bevanda in Urss. I negoziati si arenarono quando il governo Usa boicottò i Giochi olimpici di Mosca del 1980, un evento sportivo che Coca-Cola sponsorizzava dal 1928.
In compenso, all'inizio degli Anni '90 Coca-Cola riuscì a togliere dal mercato la nuova Crystal Pepsi, una Pepsi incolore come un tempo era stata la beszvetnaja creata per Zhukov. Lanciata come una bevanda salutista, Crystal Pepsi nel suo primo anno sul mercato aveva fruttato circa 474 milioni di dollari.
Per rimediare, l'azienda di Atlanta ricorse a una missione suicida: avrebbe sacrificato un nuovo prodotto, appena lanciato e altrettanto trasparente, chiamato Tab Clear, pur di eliminare la Crystal Pepsi. L'arma segreta? Un'insinuazione: presentando Tab come un prodotto dietetico e "per donne", Coca-Cola "suggerì" ai consumatori che lo stesso valesse per l'altra bevanda trasparente. E poiché nei negozi le due marche erano in genere posizionate vicine, alla Coca-Cola speravano che i clienti le considerassero equivalenti e che i "veri uomini" le avrebbero snobbate entrambe. Come spiegherà Sergio Zyman, allora capo del marketing Coca-Cola, «nel giro di pochi mesi il marchio Tab Clear morì. E così Crystal Pepsi».

geopolitica in bolle. Nel corso dei decenni Coca-Cola ha dovuto fronteggiare difficoltà anche in nazioni diverse dall'Urss. «Il problema è che per quanto non voglia essere coinvolta nella politica, la Coca-Cola è così strettamente associata agli Stati Uniti e al loro stile di vita che polarizza le simpatie delle persone. E a volte questa associazione ha effetti negativi», ha spiegato Bruce Webster, ex consulente del marchio. Non è un caso se dal 1968 al 1991 l'azienda fu boicottata in Medio Oriente dalla Lega araba: vendeva i suoi prodotti in Israele. Eppure, documenti emersi di recente dimostrano che nel 1977, ossia due anni prima che l'Egitto riconoscesse Israele, l'azienda americana si impegnò a investire 10 milioni di dollari (39 milioni di dollari di oggi) in agricoltura e infrastrutture industriali in Egitto, in cambio della fine del boicottaggio. Dove aveva fallito la diplomazia, riuscirono gli affari.
Dalla Cina al sudafrica. In Myanmar la bibita fu bandita dal 1962 fino al 2012 a seguito delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti nei confronti della giunta militare che per 50 anni governò quella che un tempo era stata la Birmania. In Cina, dove sbarcò per la prima volta nel 1927, fu vietata dal leader comunista Mao Zedong nel 1940, per riapparire soltanto nel 1979. In Vietnam tornò sugli scaffali nel 1994, dopo 19 anni di embargo legato alla guerra con gli Stati Uniti, durante la quale i soldati americani erano stati regolarmente riforniti di Coca-Cola "per avere un importante sostegno morale in tempo di guerra".
In Sudafrica nel 1986 Coca-Cola annunciò la chiusura dei suoi impianti, per protestare contro la politica dell'apartheid. In seguito sostenne Mandela (che tuttavia pare non apprezzasse la corporation) durante la sua presidenza e successivamente riavviò la produzione nel Paese. Pepsi smantellò invece il suo stabilimento sudafricano, con gravi perdite e con un danno di immagine legato al fatto di avere pagato salari più bassi della media ai dipendenti di colore.
La cola-colonizzazione. Oggi ci sono soltanto due Paesi al mondo nei quali, per ragioni politiche, le due bibite rivali non possono essere acquistate: Cuba e Corea del Nord. Cuba, pur essendo stata una delle prime tre nazioni, insieme a Panama e al Canada, ad avere imbottigliato la Coca-Cola fuori dagli Stati Uniti (nel lontano 1906) bandisce la bevanda a stelle e strisce fin dal 1962. Del resto, gli Stati Uniti praticano un embargo commerciale, economico e finanziario contro la Repubblica di Cuba e quindi nessuna azienda americana, teoricamente, può vendere la sua merce sull'isola. L'embargo tuttora vigente nei confronti della Corea del Nord, invece, risale al 1950. Con queste due eccezioni, ormai tutto il mondo è soggetto alla "coca-colonizzazione", come viene indicato l'influsso culturale del consumismo.
Così, anche laddove lo stile di vita occidentale è ancora visto come un nemico, proprio come avvenne nell'Unione Sovietica di Zhukov queste due bibite gassate sanno comunque superare frontiere chiuse ermeticamente e trasmettere il loro messaggio (per alcuni di libertà, per altri di consumismo)... in bottiglia.
Tratto da Bolle rivali pubblicato su Focus Storia 198 (Aprile 2023). Perché non ti abboni?