
L'editoriale del numero in edicola
I ragazzi di oggi si vedranno presto nei libri di scuola su cui loro stessi studiano. «Già a settembre i nostri testi parleranno del coronavirus», mi raccontava Aaron Buttarelli, direttore editoriale di Mondadori Education. Così gli studenti leggeranno quel che hanno vissuto: il mondo in ginocchio per un virus partito da una città cinese sconosciuta ai più, i milioni di morti, i malati, gli ospedali in tilt, il lockdown, il divieto di viaggiare, le mascherine e la scuola a distanza.
Mia figlia l'altro giorno mi ha detto: «Sai, è come se avessi perso un anno della mia vita». È stato un trauma per tutti, gli anziani sono stati il bersaglio preferito e hanno pagato il prezzo più alto in termini di vite umane, molti adulti hanno cambiato radicalmente l'organizzazione del lavoro, alcuni sono stati costretti a sospendere la propria attività.
Per i nostri ragazzi l'impatto non è stato meno devastante. Anzi. E ho trovato giusto che Mario Draghi rivolgesse il suo primo pensiero a loro, ai professori, alla scuola, alla ricerca. Provare a recuperare un po' di quel tempo che mia figlia considera perduto non è secondario rispetto alla crisi economica. Se la scuola si smarrisce è l'intera società a smarrirsi.
Scuola che non è soltanto didattica. Per un ragazzo o una ragazza che vanno prendendo forma, è palestra di vita, è il luogo dove mettere alla prova le proprie capacità di apprendimento, di crescita e di relazione con gli altri. Tutto questo è stato praticamente azzoppato. A loro e ai loro insegnanti è stato chiesto un cambiamento molto più radicale dello smart working. Noi ci siamo adattati a lavorare da remoto, loro si sono disadattati a studiare così. E questo vale per tutte le scuole del mondo che non sanno più che inventarsi.
Se in Canada sono arrivati a selezionare le materie su cui concentrarsi e a tralasciare le altre, nel Regno Unito l'esame di maturità (chiamiamolo così) è stato abolito e alcune lezioni vengono sostituite da talk di studiosi di altissimo livello. Il mio amico Rodrigo, che frequenta da casa l'ultimo anno in un college di Londra, mi ha detto: «Sono appuntamenti interessanti e stimolanti per quanto non riescano a restituirci quel che ci è stato tolto».


Ai primi di febbraio è partita l'Academy di Focus e di Focus Storia a cui le scuole possono iscriversi gratuitamente per seguire con noi come si fa un giornale di divulgazione scientifica e storica. Incuriosito, ad ogni appuntamento guardo uno per uno ragazzi e ragazze in quelle celle che sullo schermo del computer sembrano un alveare. Cerco gli sguardi e le loro espressioni, li osservo compulsare continuamente i messaggi che si scambiano di nascosto sul cellulare (lo facciamo – di meno – anche noi adulti), mi cimento a indovinare il livello di attenzione. Provo a capirli come provo a capire i loro insegnanti.
Che bella parola insegnare: lasciare il segno. Questi uomini e queste donne, a cui affidiamo la formazione dei nostri figli e a cui spesso deleghiamo compiti che ci spettano ma che non abbiamo il tempo di assolvere, sono lì per lasciare un segno ai loro alunni (altra bella parola dal latino alere, nutrire). Dovremmo portarli in palmo di mano e dovremmo pretendere che lo Stato li segua, li tenga aggiornati, li aiuti a stare al passo coi tempi senza che ci si affidi soltanto alla loro buona volontà.
Su Focus Storia questo mese abbiamo ricordato una frase di Alessandro Magno: «A mio padre devo la vita, al mio maestro una vita che merita di essere vissuta».
Nel numero di Focus che avete in mano ci sono due articoli che si occupano delle missioni spaziali: uno racconta la tecnologia dei moderni razzi che invece di distruggersi ritornano alla base dopo aver portato gli astronauti in orbita e l'altro ricorda un anniversario: 60 anni fa Yuri Gagarin diventava il primo uomo a fare un giro intorno alla Terra. Lo faceva con una tecnologia che oggi fa sorridere e la missione era un tale azzardo che gli fu data una pistola per spararsi in caso avesse cominciato a vagare senza controllo nel cielo.
Poche settimane fa, proprio mentre Perseverance toccava il suolo di Marte, il miliardario Jared Isaacman ha offerto uno dei prossimi viaggi sulla capsula Dragon a Hayley Arceneaux, una ragazza americana di 29 anni sopravvissuta a un terribile tumore alle ossa quando aveva 10 anni. Hayley è diventata infermiera nello stesso ospedale che l'ha guarita «perché - dice - con la mia storia voglio convincere i malati che la medicina moderna può rendere possibile anche l'impossibile». Il miliardario è stato ben lieto di offrirle un passaggio nello spazio per rafforzare ancora di più questo messaggio che è un inno al progresso e alla forza di carattere di noi umani.


Lo scorso mese, con i liceali in collegamento ragionavo a voce alta su tutto ciò. In sessant'anni (la mia età) guardate quanti passi da gigante abbiamo fatto. Dalla pistola di Gagarin, alle orme sulla Luna, al via vai di rover su Marte, a un privato visionario come Elon Musk che porta gli astronauti sulla Stazione Spaziale, fino a Hayley – una di noi – che diventerà testimonial delle nostre capacità. E dicevo: chissà tra pochi decenni quante cose avrete inventato e sperimentato, chissà quanto avrete contribuito a far progredire i mestieri in cui vi cimenterete, chissà come guarderete a quello che siamo oggi.
Io vado pazzo per i bambini e per la gioventù. Non solo per un innato istinto di protezione o perché rappresentano un'età felice in continua trasformazione, ma anche perché vedo in loro quello che io non potrò vedere. Sono la continuità della specie, il futuro, è come se attraverso di loro noi potessimo parlare al domani.
Gli insegnanti fanno ancora di più. Perché, se è bellissimo riuscire a parlare a un domani in cui non ci saremo, riuscire a formare quel domani è grandioso.
Raffaele Leone