Erano rifugio, luogo dove mangiare attorno al fuoco, spazio per preparare gli utensili utili alla caccia... Dove se ne trovavano, le grotte hanno ospitato diversi gruppi di umani - prima i Neanderthal, poi i Sapiens - che si spostavano in un vasto territorio. Come si viveva in queste cavità? Ve lo raccontiamo in Grotta dolce grotta, di Giovanna Camardo, su Focus 349 (novembre 2021). Siamo andati in tre grotte nel Veneto, in particolare, per incontrare gli archeologi al lavoro, come potete vedere nel video documentario qui sopra.
Occhio alle penne. La prima è la Grotta di Fumane, nel territorio del comune di Fumane, in provincia di Verona: una cavità che si apre a 350 metri di quota in una valle dei Monti Lessini. Fu frequentata da 90.000 anni fa fino a quando una frana ne sigillò l'entrata (25.000 anni fa), prima dai Neanderthal e poi dai Sapiens. L'ambiente, in quei lontani millenni, era diverso da oggi: nei periodi di maggiore frequentazione umana, in alto si estendeva una prateria alpina mentre boschi di conifere coprivano le zone più basse.
Tra le formazioni rocciose si trovava la selce, la pietra usata per fabbricare strumenti e armi per la caccia. Negli strati che si sono accumulati nella grotta (un grande atrio su cui si aprono tre strette gallerie), gli studiosi hanno trovato le tracce della vita degli uomini e dei mutamenti del clima. «Alcune scoperte fatte qui a Fumane sono state importanti per ricostruire la vita di quei gruppi umani», ci racconta Marco Peresani, docente di archeologia e antropologia del Paleolitico e direttore degli scavi a Fumane: «per esempio, nei livelli corrispondenti alla frequentazione dei Neanderthal abbiamo trovato molte ossa di uccelli, che erano parte della dieta, ma non solo. Su alcune ossa abbiamo infatti trovato microscopiche tracce lasciate dagli strumenti di pietra impiegati per staccare le penne, che quindi erano usate probabilmente come decorazione.»
Lavoro di pazienza. Il Cuoléto de Nadale, a Zovencedo (in provincia di Vicenza), è una piccola cavità che si apre su un versante del Monte degli Spiazzi. Qui è stato trovato un solo livello che porta le tracce dei Neanderthal, di 70.000 anni fa. Quando arriviamo, gli archeologi sono al lavoro. Ci fanno vedere alcune ossa appena trovate: pezzi di ossa lunghe, prima rotte per estrarre il midollo e poi usate come "ritoccatori", ovvero strumenti per affilare i bordi degli strumenti di selce, che portano tracce caratteristiche di tale uso.
«Quello dell'archeologo è un lavoro di pazienza. Quello che facciamo è grattare piano il sedimento usando una piccola cazzuola o uno specillo, uno strumento chirurgico, in una piccola area delimitata del piano su cui stiamo scavando. Poi aspiriamo o spazzoliamo il sedimento, lo setacciamo, lo laviamo: ciò che resta viene asciugato ed esaminato», racconta Alessandra Livraghi, dell'Università di Ferrara, mentre ci mostra le fasi dello scavo. «Così tra la ghiaia rimasta si individuano anche i più piccoli pezzi lasciati da chi abitava la grotta: questo è un frammento di selce, questo un osso bruciato...», e così, lentamente, si ricostruisce la vita di 70.000 anni fa.
Da rifugio a eremo. La Grotta Maggiore di San Bernardino, nel comune di Mossano (in provincia di Vicenza), a circa 130 metri s.l.m nei Colli Berici, è un luogo in cui la preistoria si fonde con la storia. Il muro che la chiude fu realizzato per usare il sito come eremo, che fu frequentato da San Bernardino da Siena: dall'esterno pare una chiesa incastonata nella roccia, all'interno il rilievo di una Madonna testimonia l'antica venerazione. «La grotta era colma di depositi che vennero poi svuotati, per usare il terreno ricco di fosfati e materiale organico», racconta Marco Peresani. Ma una parte si è conservata, vicino all'ingresso, ed è lì che gli archeologi hanno scavato, recuperando diversi livelli con tracce della presenza dei Neanderthal.
«Pensiamo che fosse abitata da 200.000 fino a 44.000 anni fa. In alcuni livelli», aggiunge Peresani, «abbiamo per esempio i segni di un'intensificazione della frequentazione neanderthaliana attorno a 140.000 anni fa. Dagli strati ricaviamo anche indicazioni sul clima di ogni epoca, per esempio i sedimenti fini trasportati del vento in un ambiente di steppa» raccontano di quando i dolci Colli Berici erano un ambiente freddo e povero di vegetazione. Nella grotta sono stati recuperati strumenti di selce, che però in quella zona non si trova: segno che i Neanderthal viaggiavano portando con loro gli strumenti utili alla sussistenza e che sapevano ben gestire le risorse.