Gli storici hanno pochi dubbi: il processo inscenato da Stalin nel 1952 a Rudolf Slánský (1901-1952), segretario generale del partito comunista cecoslovacco, era una farsa. Stalin, per liberarsi di quello che riteneva un nemico politico, prima lo accusò di tradimento, poi lo condannò a morte.
Recentemente, come riporta il quotidiano The Guardian, sono venute alla luce alcune pellicole cinematografiche grezze, ossia mai lavorate dopo i fatti, che raccontano questa vicenda.
Processo show. Durante il processo Slánský, Stalin commissionò delle riprese cinematografiche da usare per un film di propaganda, ma morì l'anno successivo e non se ne fece nulla. Il materiale però fu archiviato, e adesso è tornato a galla.
Sono sei ore di pellicola in bianco e nero da 35 mm e 80 ore di audiopellicole e registrazioni audio del processo. Erano conservate dentro scatole di metallo e di legno, insieme a milioni di altri documenti, in un capannone a Panenské Břežany, vicino a Praga.
I documenti molto probabilmente furono ammassati lì dopo la Rivoluzione di velluto (1989), che pose fine ai 41 anni di governo comunista in Cecoslovacchia. Non è chiaro però se per custodire la memoria dei fatti o, nel caso del processo, per nascondere le prove di un’onta per il partito comunista sovietico.
Il materiale è stato portato all'Archivio cinematografico nazionale ceco, che chiede al governo fondi per 470.000 euro per il lavoro di restauro.
Nemico politico? Le pellicole getteranno nuova luce su quello che accadde per davvero in quel tragico processo. Ad oggi sappiamo che Slánsky fu accusato insieme ad altri 13 funzionari di alto rango di titoismo e sionismo. La rottura dell'Unione Sovietica con il regime jugoslavo di Josip Broz Tito era avvenuta da poco (1948) e Stalin temeva reminiscenze nazionalistiche nei partiti comunisti dell'Europa orientale.
Non solo: era anche risentito e preoccupato per il fatto che Israele, nato come stato quattro anni prima, non fosse diventato comunista. L'ossessione di Stalin era insomma che potessero esserci altre ribellioni nazionaliste, magari fomentate proprio dagli ebrei. Slánský, di origine ebraica, divenne così il capro espiatorio delle sue ossessioni.
Sperando di salvarsi, Slánský - sotto tortura - ammise le proprie presunte colpe, ma nonostante la confessione e il pubblico pentimento fu condannato a morte e impiccato cinque giorni dopo.