Storia

I presidenti americani feriti o uccisi in un attentato, prima di Trump

Trump è solo l'ultimo dei presidenti americani rimasti feriti durante un attentato: Lincoln, Kennedy, Roosevelt e Reagan, la lunga scia di sangue delle presidenziali Usa.

L'ex presidente Usa Donald Trump è sopravvissuto a un attentato durante un comizio elettorale in Pensylvania, Colpito all'orecchio da un cecchino si è subito rialzato. Ma non è certo il primo candidato alla Casa Bianca a subire un attentato: tra complotti, attentati,
omicidi e maledizioni gli inquilini dello Studio Ovale non hanno mai avuto vita facile. Ripercorriamo la storia dei presidenti degli Stati Uniti feriti o uccisi attraverso l'articolo "Presidenti nel mirino" di Stefano Graziosi, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Il primo: Abraham Lincoln

Il 14 aprile del 1865, Abraham Lincoln, primo presidente repubblicano, subì un attentato in un teatro da parte del sudista John Wilkes Booth, alla fine della Guerra di Secessione. L'omicidio si rivelò concepito in modo da vendicare il Sud sconfitto: la morte di Lincoln ebbe gravi conseguenze politiche, originando una crisi istituzionale, dopo che il suo vice, il democratico Andrew Johnson, arrivò alla presidenza. Lincoln aveva scelto Johnson come vice proprio in un'ottica di pacificazione e inclusione verso i territori meridionali. Questo determinò un forte astio del Congresso (in mano ai repubblicani radicali) verso il nuovo presidente. Astio che, nel 1868, sfociò in un processo di impeachment nei suoi confronti.

Vendetta o complotto? James Garfield

Conquistata per pochi voti nel 1880, la presidenza del repubblicano James Garfield (1831-1881) fu una delle più brevi della Storia. Il 2 luglio del 1881, mentre si apprestava a prendere un treno alla stazione di Washington, fu infatti ferito da un colpo di revolver. Il presidente morì due mesi più tardi, in seguito a una lunga agonia. Si dice che si sarebbe potuto salvare se i medici avessero usato strumenti sterilizzati: la sua morte infatti fu dovuta principalmente a un'infezione.


Su quello che fu il movente dell'assassino, Charles Guiteau, si è detto un po' di tutto. Sembra fosse convinto che Garfield avesse vinto le elezioni grazie a un suo discorso. Per questo, riteneva di dover essere adeguatamente ricompensato, almeno con una nomina ad ambasciatore. Nomina che il segretario di Stato James Blaine non gli concesse. Per questo Guiteau avrebbe deciso di vendicarsi, uccidendo il presidente. Crimine per cui fu punito con l'impiccagione. Ma anche all'epoca non mancarono tesi complottiste che individuavano nel vice di James Garfield, Chester Arthur, il vero mandante dell'attentato.

William McKinley: imprudenza fatale

Eletto per la prima volta nel 1896, il repubblicano William McKinley (1843-1901) portò avanti un programma economico di stampo protezionista e una politica estera espansionistica. Per la prima volta, gli Stati Uniti abbandonavano l'isolazionismo della vecchia dottrina Monroe (che sanciva la volontà degli Usa di non intromettersi nelle dispute internazionali), assumendo un atteggiamento "aggressivo" verso l'esterno.

In questo senso, il presidente guidò una guerra contro la Spagna che portò sotto l'influenza statunitense Porto Rico, le Filippine, Guam e Cuba.

McKinley fu rieletto nel 1900, ma grazie alla sua popolarità era sempre stato restio ad avvalersi dei servizi di sicurezza, così il 6 settembre dell'anno successivo, durante una visita a Buffalo, fu ucciso dall'anarchico Leon Czolgosz, punito poi con la sedia elettrica. L'improvvisa morte di McKinley catapultò alla presidenza il suo vice, Teddy Roosevelt che non aveva mai stimato granché il presidente, e che era stato messo alla vicepresidenza proprio dai vertici del Partito Repubblicano nell'intento di arginarne l'esuberanza politica. Le cose non andarono secondo i loro piani: perché iniziò, con lui, una delle presidenze più incisive della Storia americana.

J. F. Kennedy e la pista mafiosa

Nel 1963, il presidente Kennedy si trovava in una situazione difficile. Non godeva di grande popolarità, molte promesse erano state disattese e, nel Partito Democratico, iniziavano a esserci dubbi su una sua rielezione. Il 22 novembre di quell'anno, a Dallas, venne ucciso a colpi di fucile mentre si trovava a bordo della limousine del corteo presidenziale. A sparare fu Lee Harvey Oswald: operaio di simpatie sovietiche, fu arrestato nel giro di poche ore, per poi finire a sua volta ucciso, due giorni dopo, per mano di Jack Ruby. L'America era sotto shock: l'assassinio era avvenuto in diretta televisiva ed erano 62 anni che un presidente americano non veniva ucciso.
Il successore, Lyndon Johnson, incaricò il capo della Corte Suprema, Earl Warren, di guidare una commissione di inchiesta, per fare luce sull'accaduto. Ma le polemiche non si placarono: molti non erano d'accordo sulle conclusioni della Commissione Warren, secondo cui Oswald avrebbe agito da solo. Nel 1976 la Camera dei Rappresentanti formò una nuova commissione in cui si stabilì che Oswald avesse agito nel contesto di una macchinazione più ampia. Anche i file declassificati nel 2017 dal presidente Donald Trump non hanno aggiunto molti tasselli al puzzle, eccetto il fatto che l'Fbi sarebbe stato allertato sulla possibilità che Oswald venisse ucciso dopo l'arresto, avvertimento stranamente ignorato.

Misteri e incongruenze non hanno fatto che alimentare le più disparate teorie complottistiche. Tra le più note la pista mafiosa. Il padre di JFK, Joe, era molto legato al gangster Sam Giancana. Anzi, secondo alcuni, JFK sarebbe riuscito a vincere le elezioni nel 1960 proprio grazie ai rapporti con la mafia, che gli avrebbe garantito l'appoggio di uno Stato decisivo come l'Illinois.

Tuttavia, in seguito, la malavita americana non avrebbe gradito le pressioni del fratello di JFK, Bob, ministro della Giustizia. Secondo altri, invece, dietro l'omicidio ci sarebbe addirittura il vicepresidente Lyndon Johnson: un machiavellico golpista, pronto a tutto pur di arrivare allo scranno presidenziale.

Gli altri attentati: una poltrona che scotta

Altri protagonisti della politica americana alla presidenza non ci arrivarono mai. Il fratello di JFK, Bob, si candidò alla nomination democratica nel 1968: vista la sua popolarità, era probabile che sarebbe stato lui a sfidare il repubblicano Richard Nixon nella corsa per la Casa Bianca, ma le cose andarono diversamente.

Il 5 giugno di quell'anno, dopo aver vinto le primarie in California, Bob venne freddato a colpi di revolver dall'immigrato giordano-palestinese, Sirhan Sirhan, mentre si trovava nell'Hotel Ambassador di Los Angeles. La motivazione addotta dall'assassino fu quella di voler punire il senatore per il suo appoggio a Israele nella Guerra dei sei giorni. Non mancò la tesi di un complotto, tirando in ballo una oscura manovra della Cia.

Quattro anni dopo, fu il segregazionista George Wallace, candidato alle elezioni di quell'anno, a subire un attentato che lo costrinse per sempre su una sedia a rotelle. Anche Ronald Reagan (eletto nel 1980), subì un attentato nel 1981.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

14 luglio 2024 Focus.it
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