L'esploratore norvegese Roald Amundsen fu la vittima più illustre della sventurata missione di Umberto Nobile, che nel 1928 precipitò al Polo Nord col suo dirigibile Italia. Scopriamo i retroscena della tragica trasvolata attraverso l'articolo "Il polo della discordia" di Marco Ferrazzoli, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Esplorazioni polari
Nel tragico incidente del dirigibile Italia morirono in 17: 8 membri dell'equipaggio e 9 soccorritori, tra i quali Amundsen, che era corso alla ricerca dei superstiti sebbene intrattenesse col comandante Nobile rapporti di reciproca ostilità. Tanto il norvegese quanto l'italiano sono stati due personaggi mitici nella storia dell'esplorazione polare e dell'aeronautica. Insieme realizzarono l'impossibile, per l'epoca: sorvolare il Polo. I loro destini si sono incrociati negli anni Venti del secolo scorso due volte.
Rivalità tra Nobile e Amundsen
Roald Amundsen (1872-1928) è stato il primo uomo a raggiungere il Polo Sud nel 1911. E pochi anni prima, nel 1906, tenne il mondo col fiato sospeso mentre superava il famoso Passaggio a Nord-Ovest. Poi, nel 1926 scrisse di nuovo la storia delle esplorazioni con un secondo record: fu il primo a sorvolare il Polo Nord. Merito di un dirigibile dal nome norvegese, Norge, ma finanziato dallo statunitense Lincoln Ellsworth e soprattutto ideato, costruito e comandato dall'ingegnere italiano Umberto Nobile (1885-1978).
Nobile era un notissimo progettista, e Amundsen lo contattò dopo alcuni falliti tentativi di raggiungere il Polo Nord con l'idrovolante. Così, il 10 aprile 1926 la missione Amundsen-Ellsworth-Nobile Transpolar Flight decollò da Ciampino; il 7 maggio arrivò a NyÅlesund, nella Baia del Re; il 12 maggio alle 1:30 raggiunse il Polo: uno sguardo alla distesa di ghiaccio dall'alto e via, fino all'Alaska.
Il primo successo
L'impresa fu un successo, i rapporti fra i due furono un disastro. Per farsi un'idea di come doveva essere il clima a bordo, basti dire che durante il lancio sul Polo delle bandiere italiana, norvegese e statunitense, si scoprì che il tricolore era molto più grande di quanto concordato. Amundsen diffidava di Nobile, anche perché si ritrovò relegato nel ruolo di passeggero, con il solo compito di guardare dal finestrino. Inoltre l'italiano gli impose parte dell'equipaggio e... la cagnetta Titina. Nobile, uomo da cerimonie e caffè e vestito in alta uniforme, ricambiava l'antipatia per quel nordico che girava in pelliccia, calzari foderati d'erba e pipa.
I nemici di Nobile
Dopo la missione, per Amundsen cominciò un periodo di depressione, mentre Nobile venne accolto come un eroe da Mussolini, che gli appuntò una medaglia, lo abbracciò e lo promosse generale a soli 41 anni.
Ma Nobile aveva anche parecchi nemici, come fu chiaro poco dopo, quando il generale iniziò a progettare una nuova missione polare. Il più ostile era il comandante dell'aviazione Italo Balbo, che a Cesco Tommaselli, l'inviato del Corriere della Sera che seguì la spedizione, confidò: "Sono una persona coraggiosa, ma su un dirigibile non metterei piede". Per il gerarca il futuro dell'aeronautica italiana erano gli aerei, come chiarì con la trasvolata atlantica del 1933.
Nobile invece era convinto che i dirigibili fossero perfetti soprattutto per le spedizioni scientifiche: permettevano di fare lunghe traversate senza soste per i rifornimenti e consentivano di stazionare su un'area da studiare.
A bordo del dirigibile Italia
Sul nuovo aerostato, che stavolta si chiamava Italia, assieme ad altri 12 uomini e a Titina, salirono il fisico italiano Aldo Pontremoli, fondatore dell'Istituto di fisica milanese che oggi porta il suo nome, Frantisek Behounek, direttore dell'Istituto del radio di Praga, il geofisico e meteorologo svedese Finn Malmgren e una strumentazione all'avanguardia (anche se sulle scelte tecnologiche e di comunicazione le polemiche infurieranno).
La missione ottenne il patrocinio della Reale Società Geografica Italiana, mentre i finanziamenti arrivarono dal Comune di Milano e da un consorzio di imprenditori. Il dirigibile partì da Milano il 15 aprile 1928, raggiunse la Baia del Re il 6 maggio e compì due voli di studio, accertando alcuni aspetti fisici della regione artica quali l'assenza di terre emerse, la sterilità e la bassa ionizzazione dell'aria, le profondità marine e le derive dei ghiacci.
Meteo avverso
Il Polo venne raggiunto alla mezzanotte del 24 maggio 1928 ma, proprio come due anni prima, non fu possibile atterrare, a causa del vento fortissimo. E il mattino dopo, alle 10:30, una perturbazione travolse l'aeronave. L'Italia precipitò sul pack: dieci uomini, tra i quali il comandante, ferito, furono scaraventati sul ghiaccio, altri sei vennero trascinati via dalla tempesta e dispersi per sempre.
"Tutto si era svolto in due o al massimo tre minuti", raccontò in seguito Nobile. I titoli del Corriere della Sera viravano dal trionfale Il tricolore e la croce sul Polo (papa Pio XI aveva consegnato un crocifisso all'equipaggio) al cauto Il ritorno di Nobile rallentato da forti venti contrari.
La disgrazia
I superstiti affrontarono le terribili condizioni climatiche in un accampamento di fortuna, al riparo di una tenda, la famosa Tenda rossa, che precipitò dalla navicella insieme a un po' di viveri e ad altri materiali. L'odissea era solo agli inizi: le operazioni di soccorso furono lunghe ed estenuanti, complice anche il fatto che individuare il luogo dell'incidente era molto complicato.
Il pack su cui si trovavano i superstiti, infatti, si spostava continuamente. Inoltre i primi Sos lanciati dal radiotelegrafista Giuseppe Biagi con la trasmittente "Ondina 33" non vennero recepiti dalla nave di appoggio Città di Milano (che tra l'altro non sarebbe potuta intervenire direttamente, perché non era una rompighiaccio).
Lo “schiaffo” di Amundsen
Fu un radioamatore russo a ricevere finalmente l'Sos dando così il via alle spedizioni di soccorso che coinvolsero tremila uomini con imbarcazioni e velivoli. Tra questi, l'idrovolante francese – Latham 47 – sul quale il 18 giugno Amundsen scomparve tra i ghiacci nel tentativo di salvare, o forse umiliare, il generale italiano: "Dare uno schiaffo a Nobile", come sintetizzò successivamente il documentarista Folco Quilici, era forse la vera ragione che spinse il norvegese a mettere a repentaglio la propria vita. E lo fece di sua iniziativa, ricorrendo a contributi di privati.
Si salvi chi può
Il 19 giugno l'idrovolante del maggiore Umberto Maddalena localizzò finalmente la Tenda rossa e lanciò cibo, coperte e abbigliamento. E quattro giorni dopo, il 23 giugno, il Fokker 31 dello svedese Einar Lundborg (1896-1931) riuscì a portare a bordo, e a trasportare sulla nave Città di Milano, Umberto Nobile. "Cominciammo dai due feriti, per primo Nobile la cui presenza ci era necessaria", ricorderà il pilota.
Il generale protestò, voleva che la priorità fosse data al capo tecnico Natale Cecioni, gravemente ferito a una gamba, ma i soccorritori gli imposero di trarsi in salvo per coordinare le ricerche dei compagni Una decisione, subìta, che come vedremo gli costò cara. Dopo altri 48 giorni anche gli altri superstiti vennero recuperati. Ci riuscì, in un complicato avvicinamento, il rompighiaccio sovietico Krassin. In totale, le operazioni di recupero costarono la vita a 9 soccorritori.
Un brutto rientro
Il "generale dei ghiacci" in Italia, in un primo momento, venne accolto con affetto. Ma poi la distruzione del dirigibile e la disponibilità a mettersi in salvo per primo portarono la Commissione d'inchiesta ad addebitargli colpe infamanti: "Errata manovra, limitate qualità tecniche di pilota, negative capacità di comando". I suoi avversari, Italo Balbo in prima linea, non avevano che da essere contenti: la carriera di Nobile era stroncata.
L'orgoglioso generale ci mise poi anche del suo: armato di pessimo carattere e pessimo tempismo alzò la voce persino con Mussolini, quando questi finalmente accettò di riceverlo per ascoltarne le ragioni. Venne accompagnato alla porta. Umiliato e amareggiato, Nobile si dimise dall'Aeronautica e si trasferì prima in Urss e poi negli Stati Uniti.
Rientrò in Italia nel 1942 e, dopo un'esperienza all'Assemblea costituente tra gli indipendenti del Pci, una nuova commissione lo riabilitò, senza però sopire del tutto le polemiche. Morì a Roma, nel 1978, a 93 anni.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?