Che nell'Europa dell'Età della pietra, il cannibalismo fosse un rituale post mortem meno raro del previsto è un fatto noto. Ma in una grotta non lontana da Valencia, in Spagna, sono venute alla luce le prime prove archeologiche della pratica di questa usanza tra sapiens nell'Europa occidentale: tracce che risalirebbero a 10 mila anni fa, all'incirca il periodo della nascita dell'agricoltura, e che sollevano domande sui riti di sepoltura in uso a quell'epoca.
Gli indizi. Nella grotta di Coves de Santa Maira, vicino alla costa di Alicante, in Spagna, sono state studiate in particolare 30 ossa, appartenenti a due adulti e un bambino, che presentano segni riconducibili a un consumo umano. Molte di esse sarebbero state tagliate, martellate con strumenti in pietra, riscaldate con il fuoco e morsicate da altri umani, per poi essere disseminate tra resti di animali, come stambecchi e cervi rossi.
Due "cene". Le datazioni al radiocarbonio rivelano che il rituale si sarebbe consumato in modo non violento, quindi presumibilmente dopo la morte, in almeno due diverse occasioni. La doppia arcata e i segni di punte triangolari rintracciate sulle ossa sembrano chiaramente riconducibili a molari e canini umani, anche se uno dei criteri richiesti per la certezza archeologica di cannibalismo - ossia la presenza di ossa umane in coproliti, cioè feci fossili preservate - non è per ora stato riscontrato.
Non (solo) per fame. Il motivo del doppio pasto a base di carni e midollo umani rimane tuttavia ancora un mistero. La ricchezza di ossa animali, conchiglie e risorse naturali nell'area della grotta porterebbe ad escludere motivi di pura "sopravvivenza", dettati da una carestia. Piuttosto, la presenza di diversi insediamenti di sapiens riconducibili a quel periodo farebbe pensare all'incontro e alla contaminazione tra culture differenti, allo scambio di rituali funerari - con la dissepoltura e il consumo di ossa di antenati - alla competizione per le risorse o a casi di conflitto.