Il boss mafioso Totò Riina, dal 1982 al vertice dell'organizzazione mafiosa Cosa Nostra, arrestato nel 1993 è stato condannato a più ergastoli da scontare sotto il regime di carcere duro detto "41-bis" previsto per chi commette reati di mafia.
Chi era Totò Riina. Durante la sua vita Riina ha ordinato o eseguito numerosi omicidi e stragi, fra le tante spicca quella avvenuta a Capaci nel 1992 in cui morì il giudice Giovani Falcone assieme a sua moglie e agli agenti di scorta.
Dal 2013 Totò Riina gravemente malato, è stato detenuto a Parma: soffriva di problemi cardiaci, era affetto da neoplasia renale e presentava una condizione neurologica del tutto compromessa. Il suo avvocato chiese un cambio di regime carcerario a causa delle sue condizioni di salute, negato dal tribunale di Bologna.
Cos'è il 41-bis? Il cosiddetto regime carcerario 41-bis è stato introdotto nel 1975 nelle leggi che regolano l'ordinamento penitenziario italiano e, ai tempi, riguardava le emergenze interne alle carceri, come le rivolte o altri comportamenti ritenuti particolarmente gravi. È - di fatto - un articolo di queste leggi che regola uno specifico regime carcerario.
Dal 1992 è applicato anche ai boss mafiosi. Come scriveva Gregorio Romeo su Vice:
"Quando il 19 luglio 1992 esplode la bomba di via D'Amelio a Palermo, uccidendo il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta, il cosiddetto "carcere duro" in Italia ancora non esiste. Solo il giorno dopo la strage, l'allora ministro della Giustizia Claudio Martelli decide di firmare i primi provvedimenti di 41-bis.
Lo Stato vuole mostrare la sua reazione di forza alla mafia e al Paese; così, nel cuore della notte, 55 detenuti (dei 532 complessivi che saranno trasferiti al regime speciale nei giorni successivi) vengono prelevati dal penitenziario palermitano dell'Ucciardone e deportati a bordo di aerei militari verso l'isola di Pianosa".
L'obiettivo formale di questo regime è impedire il passaggio di ordini o altre comunicazioni tra i criminali in carcere e le organizzazioni d'appartenenza sul territorio. L'obiettivo più profondo era dimostrare la reazione dello Stato.
Il regime di carcere duro era dunque nato come iniziativa temporanea, ma è stato di volta in volta prorogato fino al 2002, anno in cui è entrato di fatto nell’ordinamento penitenziario. Dal 2009 il Ministro della Giustizia può applicarlo per quattro anni e rinnovarlo ogni due.
Cosa prevede il regime speciale? Un detenuto sottoposto a regime 41-bis è incarcerato in una cella singola e non ha alcun accesso agli spazi comuni del penitenziario.
Nella cella può stendersi sul letto, stare in piedi o sedersi su una sedia inchiodata a terra. L'unica ora d'aria quotidiana avviene anch'essa in totale isolamento.
Il detenuto non può, di fatto, possedere alcun oggetto personale (libri, computer, etc) salvo particolari disposizioni e dopo un processo di approvazione lungo e macchinoso. È sorvegliato 24 ore su 24 da un corpo di polizia penitenziaria speciale e i contatti con le guardie carcerarie sono ridotti al minimo.
I colloqui con famigliari e avvocati sono estremamente limitati, così come le telefonate o qualsiasi altro contatto con l’esterno. Ogni forma di privacy è del tutto negata. Non sono invece negate le cure mediche in carcere o in ospedale per i casi più gravi.
Già dal 1995 il 41-bis ha interessato la Corte Europea dei Diritti Umani per le sue condizioni estreme.
Quante persone sono al 41-bis? Nel 2023 sono 728 i criminali detenuti sotto regime 41-bis. Il 20% di essi rientra nella categoria dei terroristi politici mentre i restanti sono persone condannate per gravi reati legati all'associazione mafiosa.
Attualmente sono 11 le carceri italiane che possono ospitare detenuti sottoposti a questo particolare regime e sono dislocate su tutto il territorio nazionale.
Riina al 41-bis. Come ha raccontato Salvo Palazzolo su Repubblica, le condizioni di salute di Riina gli imponevano di rimanere sempre sdraiato; per i pasti veniva aiutato a sedersi sul letto; in tutto soltanto una ventina di persone, tra poliziotti, medici e infermieri, era autorizzato a entrare nella sua sua stanza: cinque metri per cinque con una finestra.
Totò Riina non poteva tenere niente: aveva fatto richiesta per un calendario, ma non lo ottenne; una richiesta per una radio invece venne approvata. Chiese di poter vedere la televisione durante i pasti, ricevendo risposta negativa, e non poteva leggere i giornali.
Aveva però il permesso di assistere a tutte le udienze del processo sulla presunta "trattativa Stato-mafia": ogni volta veniva scortato in ambulanza in una stanza speciale del carcere di Parma, dove era attivo un collegamento video con il tribunale di Palermo.
Il 41-bis di Riina era stato per un certo periodo più morbido: nel 2001, quando era ad Ascoli Piceno, gli fu permesso di vedere alcuni detenuti selezionati durante l'ora d'aria, il che per esempio gli permise durante il periodo di carcerazione a Opera (MI) di minacciare di morte il pm Nino Di Matteo nel 2013.
Il precedente di Provenzano. Riina non è stato l'unico boss di Cosa Nostra ad avere problemi di salute in regime di 41-bis.
Il caso più noto riguarda Bernardo Provenzano. Sodale di Totò Riina, assunse il ruolo di capo di Cosa Nostra dal 1995 fino al suo arresto, l'11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza. Venne sottoposto da subito al regime carcerario 41-bis e durante la sua detenzione le sue condizioni di salute si aggravarono.
Nel 2011 gli venne diagnosticato un cancro alla vescica e l’anno successivo tentò il suicidio per soffocamento. Proprio alla fine del 2012, secondo quanto riportato dai famigliari dell’ex boss a seguito di un colloquio, Provenzano aveva un aspetto irriconoscibile, non riusciva a formulare frasi di senso compiuto e presentava contusioni e ferite.

Nel 2014, con l'aggravarsi del suo stato clinico, venne revocato temporaneamente il 41-bis, salvo poi essere reintrodotto l'anno successivo per garantirne le cure in una struttura specializzata nel gestire la salute di un condannato in totale isolamento. Provenzano morì il 13 luglio 2016, a 83 anni, nella camera ospedaliera di massima sicurezza dell'ospedale San Paolo di Milano dove era ricoverato, recluso, ma curato.
La mafia contro il 41-bis. L'intransigenza dello Stato nei confronti dell'applicazione del 41-bis è granitica. Altrettanto dura è stata la battaglia - illegale e legale - portata avanti dai boss contro questo regime. Il che spiega molte cose della nostra storia recente. Scriveva sempre Gregorio Romeo su Vice in un articolo molto approfondito:
Dopo l'introduzione del carcere duro, e fino all'ottobre del 1993, gli attentati di Cosa Nostra diventano sempre più cruenti. Per la prima volta la mafia siciliana attacca lo Stato e colpisce cittadini inermi "in continente," con le bombe di Milano, Firenze e Roma che causano dieci morti e quasi 100 feriti.
In questo clima, nel febbraio del 1993, i familiari dei prigionieri al carcere duro scrivono al presidente della Repubblica Scalfaro una lettera, dai toni piuttosto aggressivi, contro le condizioni detentive del 41-bis.
Nel novembre del 1993 il ministro della giustizia Giovanni Conso, succeduto a Martelli, non rinnova il regime speciale per 334 reclusi.
Questa catena di eventi (insieme al misterioso "papello" con le richieste di Cosa Nostra alle istituzioni) è sufficiente per inserire il tema del 41-bis al centro della presunta trattativa tra Stato e Cosa Nostra. [...]
C'è comunque da notare che l'opposizione dei boss al carcere duro si è protratta nel tempo, anche con scioperi della fame e dell'ora d'aria da parte di alcuni detenuti. Il 2 luglio 2002, durante un udienza a Trapani, Leoluca Bagarella – cognato di Totò Riina – legge un testo (che secondo alcuni celava una minaccia concreta alle istituzioni) di protesta contro il 41-bis.
Nello stesso anno, a dicembre, alcuni tifosi espongono uno striscione allo stadio La Barbera durante il match Palermo-Ascoli: "Uniti contro il 41-bis. Berlusconi dimentica la Sicilia." Nessuna di queste contestazioni, tuttavia, ha favorito l'alleggerimento del regime che anzi, proprio nel dicembre 2002, è stato stabilizzato in modo definitivo nel nostro sistema penitenziario.
Questo spiega l'intransigenza dello Stato sul tema del carcere duro. È chiaro che alcuni detenuti non devono entrare in contatto con l'esterno ma, spesso, il carcere duro è solo un'icona della lotta alla criminalità organizzata, un simbolo della resistenza e dell'impegno contro Cosa Nostra e le mafie.