In seguito all'esplosione del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, il 26 aprile 1986, l'intera copertura dell'edificio della centrale divenne ufficialmente uno dei luoghi più pericolosi sulla Terra: là, se una persona si fosse fermata per soli due minuti, la quantità di radiazioni che avrebbe assorbito l'avrebbe uccisa.
A distanza di oltre trent'anni la zona di esclusione, che comprende diversi chilometri attorno alla centrale, è ancora rigidamente controllata, con zone totalmente off-limits (oltre all'edificio stesso della centrale, naturalmente) e altre dove accesso, misure di sicurezza e tempo di permanenza sono regolamentate.
Una analoga situazione si registra nelle vicinanze della centrale di Fukushima, in Giappone, compromessa dallo tsunami del 2011 e ancora in fase di messa in sicurezza.
Chi sta peggio. C'è però una zona del Pianeta dove la contaminazione è di gran lunga superiore, al punto che non si prevede un possibile ritorno per l'uomo: è la zona settentrionale delle Isole Marshall, un gruppo di isole, atolli e piccoli arcipelaghi che si estende su di una superficie complessiva di circa 12.000 km quadrati di Oceano Pacifico, con meno di 200 km quadrati di suolo. Nella regione settentrionale di questo Stato insulare a metà strada tra le Hawaii e l'Australia, tra il 1946 e il 1958 gli Stati Uniti condussero 67 test nucleari e la radioattività è, ancora oggi, talmente elevata da rendere improponibile la ricolonizzazione di isole diventate famose, come Bikini: è quanto risulta da uno studio pubblicato su PNAS, condotto da ricercatori della Columbia University (New York).
Undici isole inabitabili. I rilevamenti condotti negli ultimi mesi sul posto hanno messo in luce la presenza di vari elementi radioattivi (americio, cesio e due tipi di plutonio), sottoprodotti delle reazioni nucleari, in 38 campioni di suolo prelevati da 11 atolli.
La più alta dose di radiazioni è stata misurata sull'isola di Bikini, dove gli Usa fecero detonare la loro arma più impressionante (operazione Castle Bravo), una bomba all'idrogeno, e dove poi affondarono dozzine di navi ormai radioattive. Complessivamente, i test americani hanno lasciato sul campo delle Marshall fino a 1.000 volte la quantità di plutonio dispersa a Chernobyl e a Fukushima.
Un secondo studio condotto dallo stesso team ha messo in luce che i frutti degli alberi presenti su alcune isole contengono cesio-137 in quantità superiore a qualunque standard internazionale di sicurezza, ancora oggi addirittura superiore a quella rilevata nella regione di Chernobyl a 10 anni dall'incidente. A tutt'oggi quattro isole delle Marshall (Runit, Enjebi, Bikini e Naen) sono disabitate, e per queste non c'è una prospettiva di rientro: i ricercatori sostengono anche che occorre tenere alla larga le popolazioni delle altre isole, perché anche solo avvicinarsi può avere gravi conseguenze.