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La rivoluzione che non c'era: il terrorismo degli Anni di piombo

In un podcast, il giornalista Giovanni Bianconi ritorna sul terrorismo rosso, un tipo di eversione armata d'ispirazione comunista che portò molti ragazzi a sparare e uccidere, infatuati dall'idea di provocare un sollevamento delle masse oppresse.

Il 29 aprile 2021 sono stati arrestati in Francia sette ex terroristi, tutti condannati per atti di terrorismo compiuti oltre 40 anni fa, durante i cosiddetti Anni di Piombo, ovvero "la prova più lunga, difficile e cruenta che la società civile e le istituzioni abbiano affrontato in epoca repubblicana", come disse il giornalista Sergio Zavoli. Su Storia in Podcast Giovanni Bianconi, giornalista del Corriere della Sera, ritorna sul terrorismo rosso, un tipo di eversione armata d'ispirazione comunista che portò molti ragazzi a sparare e uccidere, infatuati dalla folle idea di provocare un sollevamento delle masse oppresse.

Qui sotto l'epoca buia della lotta armata ricostruita attraverso un articolo di Simone Cosimelli (pubblicato su Focus Storia 161).

IL CONTESTO. In Italia, tra il 1969 al 1982, la violenza politica e il terrorismo fecero 1.100 feriti e 350 morti. Il piombo era quello le armi utilizzate da organizzazioni come le Brigate Rosse che colpirono carabinieri, poliziotti, dirigenti d'azienda, magistrati, giornalisti, politici, sindacalisti. L'Italia era in un momento di grandi cambiamenti. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta aveva infatti cambiato pelle. Gli effetti del "boom economico" avevano aiutato il Paese a crescere, lasciandosi alle spalle la miseria del Dopoguerra. Ma non tutti vissero l'improvviso benessere.

La nascita di una moderna economia industriale, soprattutto nell'area tra Milano, Torino e Genova, spiazzò una società modellata sui ritmi dell'economia agricola. Iniziò uno spopolamento dei piccoli centri a vantaggio delle grandi città, che in breve si trasformò in un'emigrazione di massa: fino al 1970, 9 milioni di italiani si spostarono da una regione all'altra, in particolare dal Sud al Nord. Già nel 1965 la crescita aveva rallentato ed erano aumentati i casi di sottoccupazione, precariato, sfruttamento. I salari degli operai erano rimasti bassi, i servizi dello Stato insufficienti, il sistema scolastico inadeguato e i modelli culturali arretrati.


Così, alla fine del decennio, l'Italia fu scossa da due ondate di radicale contestazione: la prima, nel 1968, animata dal Movimento studentesco che chiedeva più giustizia sociale e meno autoritarismo; la seconda, nel 1969, innescata dalle rivendicazioni degli operai (il cosiddetto "autunno caldo"). Manifestazioni, scioperi, occupazioni di fabbriche erano all'ordine del giorno. Si avviò un conflitto sociale di vaste dimensioni e l'Italia sembrò spostarsi a sinistra. Nacquero aspettative rivoluzionarie in molti studenti e operai che avrebbero voluto superare il capitalismo. I governi e gli organi dello Stato diventarono sempre più reazionari pur di fermare questo sommovimento sociale.

L'ANTICOMUNISMO. L'Italia faceva parte dell'Alleanza atlantica guidata dagli Stati Uniti ed era condizionata dalla Guerra fredda: l'anticomunismo era stato la priorità strategica fin dal Dopoguerra.

Il Partito comunista italiano (Pci) era il più forte di tutto l'Occidente e aveva contribuito alla sconfitta del fascismo. Ma era legato all'Urss, e per questo era stato escluso dal governo nazionale. Gruppi neofascisti, tollerati e mal contrastati, furono responsabili di attentati, azioni squadriste, tentativi di golpe. Scuole e università divennero campi di battaglia. Inoltre, a partire dalle 17 vittime causate dalla strage neofascista di Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, una serie di attentati (prevalentemente di estrema destra) macchiarono di sangue il Paese: con un bilancio, fino al 1974, di 50 morti e più di 300 feriti.

Furono gli anni della cosiddetta strategia della tensione: si cercò di inasprire il clima politico, di criminalizzare movimenti o partiti di sinistra per convincere l'opinione pubblica (terrorizzata dal disordine sociale) che servisse una svolta autoritaria. L'ultimo episodio di questa catena di eventi fu la bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, che provocò ben 85 morti e circa 200 feriti.


ESCALATION DI VIOLENZA. Dopo il 1969 si formarono gruppi estremisti di sinistra che accusarono il Pci di essersi integrato nel "sistema", di aver tradito la classe lavoratrice e di non voler attuare la rivoluzione comunista. Al tempo di rivoluzione si discuteva apertamente. Gruppi come Potere Operaio e Lotta Continua si presentarono quindi nelle fabbriche, organizzando propri cortei e raccogliendo consensi. Per loro lo Stato democratico era un regime mascherato. E dopo l'aumento della violenza dell'estrema destra, visto che il fascismo sembrava riemergere, si passò ai fatti. Nelle manifestazioni apparvero bastoni e bombe incendiarie. Fu in questo quadro che, nel 1970, nacquero le Brigate Rosse (Br): una piccola formazione cresciuta nelle fabbriche milanesi.

Le Br si distinsero per la rivendicazione dei propri attacchi: furono incendiate le auto di neofascisti e picchiati o sequestrati dirigenti industriali, lasciando volantini accompagnati da una stella a cinque punte. Lo scopo? Dimostrare la necessità della lotta armata, anche in Italia. Nella pratica quotidiana, fatta di volantinaggi, mobilitazione, sostegno agli scioperi e azioni contro obiettivi mirati, le Br acquisirono prestigio e fiducia all'interno della classe operaia, che fornì praticamente tutti i quadri in realtà come Milano, Torino e Genova.

PIOMBO ROSSO. Intanto, con una fase più distesa della Guerra fredda, la società civile si richiamò ai valori dell'antifascismo, la violenza dell'estrema destra sembrò ridursi e la Dc e il Pci (con la proposta del "compromesso storico") cercarono un accordo per superare la crisi democratica: una nuova stagione politica si apriva. L'area dell'estrema sinistra si frammentò, invece, e decine di formazioni minori impugnarono le armi. Ferimenti e uccisioni segnarono di rosso le cronache. 
 
Il primo obiettivo, per disarticolare il sistema politico, divenne l'attacco "al cuore dello Stato". L'episodio più clamoroso fu il sequestro, dal 16 marzo al 9 maggio 1978, del presidente della Dc Aldo Moro (ESCLUSIVA. La trattativa per salvare Aldo Moro in una docuserie di 10 puntate), ucciso dopo 55 giorni di prigionia.
Da lì, però, le Br persero il sostegno sociale di cui avevano in parte goduto. Alcuni brigatisti iniziarono a collaborare con le autorità, facendo arrestare compagni ricercati e rinvenire depositi di armi.  Le Br furono sconfitte da una repressione fortissima cominciata subito dopo l'uccisione di Moro ma il fallimento del progetto brigatista fu anche politico. Il fenomeno della lotta armata, per intensità e durata, fu molto più esteso rispetto agli altri Paesi europei. La Repubblica non crollò, ma il prezzo per uscire dagli Anni di piombo fu altissimo. 

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Storia in Podcast è a cura di Francesco De Leo. Montaggio di Silvio Farina. Storia in Podcast è anche su Spotify e su Apple Podcasts.

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24 settembre 2021 Anita Rubini
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