Un tempo li esibivano quasi soltanto gli ex galeotti e i marinai, o qualche mercenario. Oggi i tatuaggi sono diventati una moda che coinvolge moltissimi. Del tatuaggio si nota spesso il lato estetico, il bisogno di "firmare" la pelle in modo artistico. Senza rendercene conto, però, quando apportiamo dei segni indelebili al corpo ripetiamo uno dei riti più importanti della storia dell'uomo.
I tatuaggi avevano infatti nell'antichità funzioni sacre e magiche, oltre a rappresentare una forma di comunicazione sull'identità, lo status sociale e la provenienza di chi li portava. Costituivano insomma una carta d'identità incisa sul corpo. Con figure e simboli, si dava conto agli altri della propria "nazionalità" (leggi: tribù), del "cognome" (leggi: clan), della professione (sacerdote, guerriero o altro), della religione. E persino chi fosse il proprio spirito protettore (leggi: "angelo custode"). Tutte caratteristiche che sono ancora rintracciabili nei popoli tribali in cui permane questa pratica nel suo aspetto rituale.
Piacevano alla Grande Madre. L'antropologa Michela Zucca studia da tempo l'origine e il significato dei tatuaggi. Suo è il libro I tatuaggi della dea (Venexia), il primo studio a svelare che cosa ci sia alla base di un fenomeno di massa apparentemente solo estetico. «Per prima cosa, mi ero accorta che i segni a spirale o a zig zag posti sulle famose veneri preistoriche, statuette femminili di dee madri, erano stati troppo sbrigativamente descritti come ornamenti», spiega la studiosa. «In realtà, la Venere di Hohle Fels, statuetta in avorio di 40 mila anni fa ritrovata in Germania, e veneri successive del Neolitico presentano segni di scarificazione. Si tratta della tecnica per cui veniva incisa la pelle con dei tagli, anziché a punti, da cui derivò il tatuaggio. Se le dee erano rappresentate con scarificazioni, possiamo dedurre che i fedeli, anzitutto donne, sottoponessero il loro corpo a queste incisioni di genere sacro». Va ricordato che nell'Europa preistorica c'era un assetto matrifocale delle comunità, dove la donna era almeno pari all'uomo e officiava più di lui i riti sacri.
Sciamane visionarie. Sacerdotesse-sciamane molto attive erano anche abili tatuatrici. Prima ancora di "ricamare" il corpo degli iniziati alle varie fasi della vita, con elaborati disegni simbolici, incidevano la pelle di questi riproducendo i "fosfeni", punti luminosi e linee a zig-zag che loro vedevano a occhi aperti quando erano in stato di trance (i fosfeni possiamo vederli anche noi in condizioni normali, al buio completo o a occhi chiusi premendo i bulbi oculari).
In generale i tatuaggi - utilizzati per portare incise sul proprio corpo le prime divinità, le insegne del clan e spiriti protettori - smisero presto di essere solo una faccenda di donne. L'Uomo di Similaun, vissuto oltre 5 mila anni fa, è la più antica mummia a presentare tatuaggi. Ne ha circa 60 e la maggioranza di questi avevano funzione magico-terapeutica (v. link sotto).
Principesse nel ghiaccio. Presso gli Sciti, i Sarmati e altri popoli delle steppe che si muovevano dall'Ucraina alla Siberia con le loro donne, anch'esse combattenti a cavallo, i tatuaggi erano di uso comune: raffiguravano animali totemici e fantastici in qualità di spiriti protettori individuali e del clan. Come quelli trovati sulla mummia dell'Altai, appartenente a una sciamana guerriera della cultura kurgan morta a meno di 30 anni, due millenni e mezzo fa.
Perfettamente conservati nel ghiaccio dei monti Altai, in Siberia, i resti hanno permesso agli studiosi di individuare sulla sua epidermide elaborati tatuaggi di animali che sembrerebbero divinità. Tali figure rivelano un livello tecnico-esecutivo paragonabile a quello dei più moderni e quotati tatuatori. Sulla sua spalla sinistra c'è, per esempio, il tatuaggio di una chimera: un cervo con becco di grifone e zampe da capricorno. Sulle braccia, animali fantastici come un leopardo con una strana gobba o un lupo con un'insolita cresta. Sulla gamba destra, un lungo pesce con baffi.
Quando era peccato. «Fra i Celti, i Daci e i Traci, gli Illiri e i popoli germanici i tatuaggi rivelavano il clan di appartenenza, il nome e lo status sociale», continua Zucca. «Ma un po' tutti i popoli definiti dai Greci e dai Romani "barbari" usavano tatuarsi. Per i Greci (e poi per i Romani) il tatuaggio invece era tabù. Contrastava con il loro ideale di bellezza pura». Era visto come cosa "da selvaggi", e il suo uso associato agli schiavi, provenienti dai popoli conquistati.
Con l'avvento del cristianesimo il tatuaggio visse i suoi tempi più cupi, e fu vietato a più riprese. Nella cultura occidentale si fece strada l'idea che il tatuaggio riguardasse i pagani, i ceti più bassi della popolazione e i delinquenti. Ecco perché, prima della moderna stagione dei tatuaggi a pagamento, che affollano bicipiti, caviglie, natiche, di persone per bene e di successo, questi erano riservati ai galeotti o ai mercenari. Ma anche la Chiesa non ne esce con la massima coerenza dall'indagine di Michela Zucca.
«In realtà, con buona pace delle direttive papali, in Terra Santa e in molti luoghi di pellegrinaggio sparsi per l'Europa, erano all'opera frati tatuatori», spiega la studiosa. «E anche i nobili non rispettavano il tabù. Si tatuavano soprattutto gli aristocratici che andavano alla guerra, in modo che il proprio corpo venisse riconosciuto e onorato secondo il lignaggio e la fede indicati sulla pelle in caso di morte».
Tendenza universale. Che tutto il mondo usasse tatuarsi lo indicano anche i popoli cosiddetti "tribali": da quelli della valle etiopica dell'Awash, ai Kikuio e ai Masai del Kenia, dagli gli aborigeni australiani ai Maori della Nuova Zelanda, la pratica è ancora oggi diffusa. Persino i buddisti la accettano.
A Bangkok, in Tailandia, i monaci organizzano una festa dove il simbolo di un animale tatuato può prendere vita, fino a possedere i fedeli. Se, per esempio, a uno di questi viene tatuata una tigre, lui va in trance mimando e facendo i versi della specie tatuata sulla sua pelle. Se a uno tocca il bufalo, lo imiterà in tutto, se un altro ha il tatuaggio di un serpente, si metterà a strisciare. Lo spettacolo più che comico è impressionante, perché questa gente crede davvero nell'effetto magico del tatuaggio. Come una volta.
SEGNO DI RICONOSCIMENTO. Perché è riemerso anche fra di noi, nella modernità, l'uso di tatuarsi? Secondo l'evoluzionista Richard Dawkins oggi è sempre più difficile farsi riconoscere con status symbol materiali o sociali, che sono il nostro fenotipo esteso, cioè un "prolungamento" del nostro corpo (mente compresa). Tornare al corpo "ricamandolo" è in fondo la cosa più semplice, alla portata di tutti.