Ma insomma, cosa posso farci se la faccia di Sua Maestà assomiglia a una pera?!? ... Nell'aula austera del tribunale di Parigi la frase oltraggiosa di Charles Philipon esplode come una bomba, strappando mormorii di disapprovazione. Il vignettista francese si trova alla sbarra per una "scandalosa" caricatura di Luigi Filippo d'Orléans, in cui le forme rotonde del volto del re assumono - con una sequenza che è quasi da cartone animato ante litteram - per l'appunto le forme di una pera.
quella pera del re. L'artista finirà in prigione, ma inutilmente: altri disegnatori satirici riprenderanno il tema della "pera", trasformandolo in un tormentone contro re e governo. L'anno del processo era il lontano 1831: il coraggio e l'impudenza di Charles Philipon con le sue invettive oscene, blasfeme e scurrili, la sua assoluta mancanza di buone maniere e il disprezzo anarcoide per ogni forma di autorità costituita fanno parte della lunga tradizione della satira d'Oltralpe. Un esprit irriverente e dissacratorio le cui origini si perdono nei secoli, e che non trova omologhi in altre più pacate tradizioni parodistiche, per esempio quella anglosassone.
«L'ironia in Francia era sovversiva sin dalle origini», conferma Giuseppe Scaraffia, docente di letteratura francese alla Sapienza di Roma: «sferzate al potere si trovano già in opere medioevali francesi come i fabliaux, racconti sarcastici popolari in versi, o il Roman de Renart, una raccolta di parodie con animali antropomorfi come protagonisti». Anche nel '500 in Francia si rideva e si derideva: gli sfottò di giullari e buffoni divertivano le corti, mentre le guerre di religione che devastavano il Paese (ma sulle quali la satira riuscì a mettere il cappello con il graffiante poema Les Tragiques di Théodore Agrippa d'Aubigné) alimentavano il disincanto verso il sacro.
funzioni corporali. Intanto, dall'ibrido tra la cultura di un grande umanista, François Rabelais (1494-1553), e la lingua triviale del popolo nasceva il ciclo di Gargantua e Pantagruel, capolavoro di comicità spregiudicata dove due re giganti dall'appetito e dalla forza smisurati mettono alla berlina la società francese del XVI secolo. «Un grande precursore, non a caso condannato dai teologi della Sorbona: di fronte a una monarchia per diritto divino come quella francese, Rabelais strappa il velo del potere e ci mostra interessi terreni, appetiti, funzioni corporali», commenta Scaraffia.
triviali canzonette. Il primo importante punto di svolta è però il Seicento.
Crisi economica, pressione fiscale, la guerra sotterranea della "Fronda", che opponeva i nobili francesi al potente cardinale Mazarino: questi elementi favorirono un notevole sviluppo della satira, su due livelli paralleli.
Uno "alto", intessuto di grandi capolavori dall'umorismo raffinato e pungente. Tra questi le pièce teatrali di Molière, le Favole di Jean de La Fontaine, la satira realista e antiromantica di Nicolas Boileau. L'altro, invece, popolare e volgarissimo, l'antitesi del buon gusto. Con teatrini di strada allestiti in quattro e quattr'otto sulla pubblica via, magari per mostrare alla folla la regina madre, Anna d'Austria, sodomizzata dall'impopolare Mazarino. Oppure con triviali canzonette antigovernative, le cui parti sconce potevano in genere essere rapidamente rimpiazzate, all'approssimarsi di qualche guardia, da un ritornello meno sconveniente.
suini e flatulenze. Punture di spillo oppure badilate di letame: palleggiandosi tra questi due estremi, la satira francese varcò il secolo dei Lumi. In coerenza con lo spirito del tempo, iniziò ad accanirsi contro superstizioni e pregiudizi. Tra i bersagli eminentemente politici, però, spiccava sempre la monarchia dei Borbone, che essendo tra le più assolutiste d'Europa, era anche un bersaglio ben riconoscibile, insieme alle dissipatezze della corte di Versailles e degli alti prelati.
La statua equestre di Luigi XV a Parigi diventò ricettacolo di feroci e anonime pasquinate, mentre grazie alle nuove tecniche tipografiche diventava più facile produrre e vendere sous le manteau - "sotto il mantello" ovvero clandestinamente - immagini della regina impegnata in amori di gruppo, caricature del re con fattezze di suino, accoppiamenti di cardinali e suore, flatulenze di diavoli soffiate sul volto del Papa e tutto quanto potesse solleticare la fantasia corrosiva degli anonimi disegnatori.
I gioielli di Diderot. Sul fronte letterario, il "vizietto" della satira fu coltivato da personaggi insospettabili: da un giurista come Montesquieu con le sue Lettere Persiane, a un enciclopedista come Diderot, celebrato autore dell'Encyclopédie, illuminista, ma anche padre dei licenziosi Gioielli segreti - genitali femminili che, grazie a un anello magico, raccontavano le bassezze che si perpetravano alla corte di Versailles.
Fu quella l'epoca dei pamphlet, gli scritti polemici e calunniosi da "macchina del fango", dove il sarcasmo si faceva aggressivo. «Tra le altre cose questi scritti amplificavano a dimensioni iperboliche le leggende su raffinatezza e perversione sessuale degli aristocratici», aggiunge Scaraffia. «Per esempio: la regina Maria Antonietta, tradizionale bersaglio delle antipatie popolari, fu accusata contemporaneamente di essere ninfomane, lesbica e madre incestuosa!
Strani messali liturgici. Del resto Parigi si stava riempiendo di intellettuali di provincia squattrinati, che per campare avevano poche alternative: fare le spie per la polizia, scrivere discorsi per i parroci oppure cimentarsi in questi libelli, a cui anche Voltaire, autore di una raffinata satira filosofica come il Candido, non disdegnava di dedicarsi. La censura ovviamente faceva il suo lavoro, e per proteggersi autori e lettori di opere proibite s'inventavano di tutto: da falsi luoghi di edizione - spesso Amsterdam o l'Aja - per depistare le indagini, fino a rilegature che imitavano esteriormente i messali liturgici».le corna imperiali. Dopo il bagno di sangue della Rivoluzione, e una stagione tumultuosa in cui le fazioni in lotta si combattevano anche a colpi di ingiurie scritte o disegnate, la grandeur napoleonica impose una stretta severa alla satira; come un fiume carsico, però, il genere sopravvisse, stavolta pilotato dai legittimisti monarchici, sbeffeggiando a più riprese le infedeltà coniugali della coppia imperiale.
I successivi decenni del XIX secolo videro la satira sbarcare sulla nascente stampa periodica, ma soprattutto consolidare il suo connubio con l'arte grafica grazie al nuovo "metodo Épinal" creato nell'omonima cittadina della Lorena, con vivaci stampe popolari a colori che anticipavano la forza espressiva del fumetto. Proprio dall'alleanza tra una penna e un "pennello", cioè tra lo scrittore Honoré de Balzac e il disegnatore Philipon, nel 1830 nasceva una rivista-laboratorio dal nome emblematico: La Caricature.
Era l'epoca di grandi maestri del grottesco come André Gill, le cui caricature dal testone ipertrofico hanno fatto scuola sino a oggi, e Honoré Daumier, artista poliedrico che come Philipon finirà in galera per una vignetta contro Luigi Filippo: niente pere stavolta, ma un re in trono dipinto come un insaziabile Gargantua che divora le risorse del popolo, defecando al contempo privilegi e prebende per un piccolo gruppo di privilegiati.
le prime riviste. Ovviamente i più tradizionali lazzi affidati alla parola scritta proseguivano di pari passo, e parecchi giornalisti si trovarono trascinati a duello dalle loro vittime, talora anche con esiti sanguinosi. «L'esordio della rivista La Caricature fece da apripista a una lunga serie di testate umoristiche, a partire dal quasi coevo Le Charivari per finire, a inizio Novecento, con l'effimero ma importante L'Assiette du Beurre e con Le Canard Enchainé, pubblicato ancora oggi», sottolinea Scaraffia.
«Il comune denominatore delle prime riviste satiriche ottocentesche era che vendevano bene, e questo stimolò anche i quotidiani d'informazione ad accaparrarsi vignettisti di talento per ridicolizzare politici e personaggi mondani.
In barba a perduranti censure e divieti, insomma, la clandestinità finì e il mestiere cominciò finalmente a "tirare": le vignette di Sem, al secolo Georges Goursat, schernivano tutte le élite di Francia, e persino un pioniere della fotografia come Nadar si cimentò con la caricatura prima di passare definitivamente dietro l'obiettivo.»
La lista delle vittime era lunghissima: dal primo ministro Adolphe Thiers a un mostro sacro della letteratura come Victor Hugo. Nel primo Novecento tra i "vip" più fustigati dai cartoonist parigini ci furono anche Mata Hari, Sarah Bernhardt e persino il nostro Gabriele D'Annunzio.
La pompa funebre. Ma il caso di scuola che anticipò in piena Belle Époque l'umorismo caustico della Francia contemporanea fu la tragicomica dipartita di Félix Faure, presidente della Terza Repubblica francese, nel 1899. «Ufficialmente si parlò di "congestione cerebrale", ma la vulgata popolare stabilì che il poveretto, imbottito di afrodisiaci, era rimasto fulminato da un ictus durante un'appassionata seduta di sesso orale con la propria amante all'Eliseo», racconta Scaraffia. «In barba al lutto nazionale, allusioni e ironie a mezzo stampa si sprecarono. E alla faccia dei pudori ottocenteschi la maîtresse presidenziale, Marguerite Steinheil, fu subito ribattezzata senza troppi complimenti "pompa funebre"».