Pur ricca di una tradizione automobilistica di lunga data, l'Italia conobbe la motorizzazione di massa solo a partire dalla metà degli anni '50, durante il cosiddetto boom economico, grazie al lancio sul mercato di un vero e proprio mito: la Fiat 600. L'acquisto di un'automobile divenne così un must per le famiglie italiane, che finalmente potevano permettersi un proprio mezzo di trasporto.
Tutte le speranze per l'avvenire automobilistico del Paese, e i dubbi circa le reali possibilità di sviluppo, si trovano ben riassunte in un articolo del Monitore della Lubrificazione, edito negli anni '50 e '60 dalla Roloil, società italiana all'epoca produttrice di oli lubrificanti. Quella copia del Monitore è conservata presso il Museo Fisogni della stazione di servizio.
Nel 1955 la piccola Fiat faceva il suo esordio al Salone Internazionale di Ginevra: «la nuova utilitaria italiana», scriveva il giornalista, «è stata una specie di bomba atomica!», facendo il verso a ciò che succedeva dall'altra parte del mondo: pochi giorni prima era infatti esplosa una vera bomba atomica, in Nevada, nell'ambito dei test dell'Operazione Teapot.
Fatto sta che quel marzo 1955, a Ginevra, era un punto di svolta che prometteva finalmente «l'inizio di una politica veramente popolare dell'automobilismo nazionale». La vetturetta, lanciata al prezzo di 590.000 lire, che oggi sarebbero 304 euro se non ci fossero in mezzo una settantina di anni, destò in effetti un certo "stupore", come riportava La Stampa, e addirittura, secondo il Monitore, fu giudicata "un concorrente imbattibile" dagli esperti stranieri.
I giornali francesi, in effetti, sottolineavano che la 600 veniva incontro non solo alle masse, ma anche ai "problemi della circolazione e del parcheggio, fondamentali ormai nelle grandi città europee". Una svolta, insomma, che impressionò sia i cugini d'Oltralpe, sia i tedeschi della VolksWagen, seriamente allarmati della possibile concorrenza al suo Maggiolino, sia i costruttori in Inghilterra, dove da anni si stava studiando una macchinetta utilitaria.
Ottima fu l'accoglienza in Italia, dove la Fiat riuscì a "far cadere come per un colpo di bacchetta magica tutti i vari […] mugugni" degli aspiranti automobilisti, i quali si trovavano a fare i conti con uno Stato che, pur dotato delle migliori industrie automobilistiche, era "uno dei Paesi, dal punto di vista della motorizzazione di massa, più arretrati".
Pensionata la prima Fiat 500, più nota come "Topolino", l'Italia e la 600 si apprestavano finalmente a fare il loro ingresso nel mondo dell'automobile popolare, lanciando il Paese negli anni del boom economico, durante i quali ebbe inizio l'età dell'automobile (e degli scooter!).
E mentre si attendeva "anche una vetturetta a due posti messa in cantiere dalla Bianchi" (la Bianchina, che avrebbe fatto il suo debutto nel 1957, insieme alla Fiat Nuova 500), ci si interrogava sui limiti e le contraddizioni che potevano frenare il decollo automobilistico del Paese.
Se "una volta, per spiegare la scarsa diffusione dell'automobile in Italia si diceva […] che non avevamo petrolio, ora sappiamo che il petrolio c'è e molto", scriveva il Monitore riferendosi all'esplosione delle stazioni di servizio, con le compagnie petrolifere impegnate a contendersi gli automobilisti a suon di gadget, promozioni e servizi. Quali erano, dunque, i possibili limiti per la diffusione delle quattro ruote? "Mancano le strade, questo sì": complici gli stanziamenti inadeguati dei primi governi del dopoguerra, la rete viaria italiana, secondo il giornalista, restava ancora molto limitata.
Il modello a cui guardare era, manco a dirlo, la Germania. Nonostante l'industria tedesca fosse uscita rasa al suolo dalla guerra, nel 1955 produceva già 800.000 veicoli l'anno grazie al successo mondiale del Maggiolino, l'auto del popolo concepita già in epoca nazista. I segreti di questi numeri? "Niente scioperi, la gente lavora sodo, guadagna bene, risparmia", oltre a una rete stradale moderna, alla gratuità delle autostrade, al basso prezzo della benzina, alla poca burocrazia e alle tasse eque, che non colpivano l'automobile come bene di lusso.
"La Germania - concludeva il giornalista - non è la Luna, come non lo è l'Italia. È proprio tanto difficile mettersi a fare qualche cosa di simile?" Insomma, l'articolista della Rol Oil criticava nello specifico le imposte automobilistiche e gli scarsi finanziamenti, auspicando una radicale politica ufficiale della motorizzazione che stimolasse il settore. Ma non solo! Qualche perplessità riguardava anche la stessa Fiat, i cui bassi volumi di produzione facevano sorgere più di un dubbio sull'effettiva disponibilità sul mercato della 600, che doveva essere "popolare di fatto e non più soltanto di nome".
Pur con queste incertezze, però, i sentimenti generali erano l'ottimismo e la voglia di ripartire; ben presto, l'Italia si avviò con successo sulla strada della motorizzazione di massa e del benessere economico, di cui la 600 e ancor più la 500 sono tuttora un simbolo. Si realizzarono, insomma, tutte le più floride speranze di quegli anni, salutate dal giornalista non levando un calice ma - per essere più in carattere - una lattina di olio motore!
----------
Storia dell'automobile: una 600 per tutti! è realizzato con il contributo di Marco Mocchetti, del Museo Fisogni, storica esposizione della più grande collezione al mondo di pezzi inerenti le stazioni di servizio dal 1892 al 2001.