Il 10 maggio 1940 le truppe tedesche invasero il Belgio, che visse 5 anni di dura occupazione. A guerra finita il Paese iniziò la ricostruzione e, come in molti Paesi d'Europa, anche la caccia a coloro che avevano cooperato col nemico. Tra i casi che fecero scalpore vi fu quello della Petrofina, o Fina, compagnia petrolifera belga i cui dirigenti furono accusati di collaborazionismo.
L'antefatto: dopo la Prima guerra mondiale, nel 1918, la compagnia aveva acquisito le quote tedesche della società petrolifera rumena Concordia, oltre ad attività locali relative alla fabbricazione di cannoni, miniere d'oro e carbone. Nel 1940 tutto ciò era stato ceduto ai nazisti, desiderosi di riacquistare le posizioni perdute nel 1918 e di sostenere lo sforzo bellico.
Cessione a parte, secondo l'accusa la transazione, del valore di centinaia di milioni di franchi, aveva destabilizzato l'economia belga, impoverito il Paese e arricchito i conti personali degli amministratori della società: i fratelli Hector e Fernand Carlier, Laurent Meeus e Alberic Maistriau. E a peggiorare le cose vi era il fatto che delle trattative si era occupato Willem Nygh, membro del partito nazista olandese assunto alla Fina dopo l'occupazione.
Dal canto loro, gli imputati negavano ogni addebito sostenendo che la cessione della Concordia, si legge nei giornali dell'epoca, era stata imposta dal nemico. Essi avevano cercato di tutelare non solo gli azionisti, ma anche la patria, perché l'immissione di liquidità generata dalla vendita aveva permesso l'acquisto di approvvigionamenti per la popolazione. Soprattutto, si sottolineava, non vi era stato alcun vantaggio personale.
Le motivazioni addotte dagli accusati non furono però sufficienti, e la Corte Militare arrivò al verdetto: furono tutti condannati dai 3 ai 7 anni di carcere, con l'eccezione Hector Carlier, morto suicida prima della sentenza. Pesanti le ripercussioni per la Fina: la confisca di 277 milioni di franchi, il sequestro dei beni della società, la condanna a risarcire lo Stato per 50 milioni.
I giudici sposarono la tesi dell'accusa riconoscendo che la cessione al nemico delle attività rumene aveva avuto un ruolo importante per lo sforzo bellico tedesco e aveva destabilizzato economicamente il Belgio; gli imputati, poi, avevano ottenuto vantaggi personali superiori ai 6 milioni di franchi. Si riconobbe, però, che essi potevano aver agito anche per fini patriottici.
Insomma, alla fine della guerra la Fina ne uscì con le ossa rotte. Nominati i nuovi amministratori (che comunque ringraziarono i predecessori "per i servizi resi alla compagnia
"), la società iniziò a risollevarsi con un programma di investimenti che l'avrebbe portata a una rapida crescita. 20 anni dopo, allo slogan di Fina ti benzina, le auto facevano la fila per fare il pieno: l'affaire Petrofina era ormai dimenticato.
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Storia dell'Automobile: l'Affaire Petrofina è realizzato con il contributo di Marco Mocchetti, del Museo Fisogni, storica esposizione della più grande collezione al mondo di pezzi inerenti le stazioni di servizio dal 1892 al 2001.