Storia

Siamo tutti futuristi

Il secolo scorso nasceva l'avanguardia dei futuristi. Le eredità insospettabili di quel movimento d'avanguardia, dai fumetti alla tuta blu.

Cos'hanno in comune Topolino, Tex Willer e il movimento futurista? Apparentemente niente. Eppure un sottile filo rosso unisce i loro linguaggi. Questo per esempio: zang tumb tumb tuuuuuuuumb tuuuuuum tuum. Furono i futuristi i primi a intuire e sviluppare i potenziali inespressi del linguaggio, quelli alla base della nostra pubblicità e della comunicazione di massa. Li sperimentarono in opere per i tempi rivoluzionarie come il Bombardamento di Adrianopoli, un testo d'avanguardia scritto dal poeta Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), in cui lo scrittore faceva ricorso a frasi come questa: "5 secondi cannoni da assedio sventrrrare spazio con un accordo ZZZANG TUMB TUM ammutinamento". L'idea, in questo caso, era trasformare i colpi di mitragliatrice in "parola-suono": taratatatatata. E gli schiaffi e i pugni in pic-pac-pum-tumb. Proprio come nelle nuvolette (balloon) dei fumetti.
Le idee provocatorie dei futuristi sono ormai vecchie di cent'anni: il primo manifesto del movimento fu infatti pubblicato a Parigi il 20 febbraio 1909. Eppure le loro visioni sono diventate la nostra realtà. Non solo nei fumetti.

Tutto da rifare. «Molti elementi architettonici del nostro tempo sono stati pensati, progettati o semplicemente immaginati dai futuristi» spiega Elio Grazioli, critico d'arte e docente di Storia dell'arte contemporanea all'Università di Bergamo. «Pensiamo per esempio alle sopraelevate. O ai tapis roulant di aeroporti e metropolitane: progetti visionari che partivano dal desiderio di trasformare le città in luoghi più moderni, al passo con le evoluzioni della tecnica e della società industriale. Centri urbani in cui il flusso da uno spazio all'altro potesse essere non solo agevolato, ma esaltato».


Cambiare tutto, a partire dalle città: era questo l'obiettivo dei futuristi. Le loro parole d'ordine erano velocità, dinamismo e attivismo in ogni ambito della società: dall'arte all'architettura, dalla politica alla musica fino alla vita quotidiana, moda e cucina comprese. Per i futuristi, il "logorio della vita moderna" non era un problema, ma un obiettivo da raggiungere

L'arte dello scandalo. Le loro esibizioni si trasformavano regolarmente in risse, più o meno organizzate. E si concludevano con l'arrivo delle forze dell'ordine. Con un inevitabile contraccolpo (positivo) mediatico, perché le pagine di cronaca dei giornali riprendevano la notizia e la segnalavano ai lettori, dando rilievo all'evento.
"Grande serata futurista" recitava la prima pagina della rivista Lacerba del 12 dicembre 1913, un "resoconto sintetico (fisico e spirituale) della serata". "Coraggio, strafottenza, disinvoltura, idee nuove, insulti necessari" le armi messe in campo dai futuristi.

"Patate, carote, acciughe, sardine e uova" quelle usate dal pubblico. E poi la rissa: "Un ferito (Marinetti) tra i futuristi" con "molti feriti in platea (dai loro compagni dei palchi)". E un esito inevitabilmente incendiario: "Risultati: irritazione del pubblico che voleva ascoltare. Aumento di simpatie per il futurismo. Conversioni immediate al futurismo".


«I pubblicitari oggi sanno che una delle regole per ottenere successo sul mercato è far circolare il marchio del proprio prodotto e fare in modo che la gente ne parli. I futuristi lo scoprirono per primi. Ogni loro performance teatrale e artistica era ricca di episodi eccentrici su cui i quotidiani amavano speculare» spiega ancora Grazioli. «Con un inevitabile rischio: molto spesso i giornalisti si soffermavano più sugli aspetti curiosi che su quelli artistici. E un'esposizione di quadri futuristi finiva per essere ricordata più perché al vernissage Marinetti indossava dei calzini spaiati che non per le opere esposte».

Grafici nati. Invece, proprio i quadri di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Fortunato Depero e Gino Severini hanno superato i confini della storia dell'arte, finendo per influenzare il gusto comune, cambiandolo per sempre.
«I futuristi davano grande importanza ai caratteri tipografici: nei manifesti pubblicitari, dove fino ad allora le scritte erano subordinate all'immagine, fu il loro influsso a invertire quella regola» dice Grazioli. «L'innovazione ebbe tanto successo da entrare nell'uso pubblicitario e giungere fino a noi: la locandina del film Ocean's Twelve di Steven Soderbergh, del 2004, è per esempio di chiara ispirazione futurista. Lo dimostrano le proporzioni grafiche tra scritta e immagine. E l'utilizzo di colori come il rosso e il nero, tipici dello stile dei futuristi russi ».


Rockettari. Anche molte star della musica rock sono state anticipate dai futuristi. Uno tra tutti Jimi Hendrix, che molto probabilmente non sapeva nemmeno chi fosse il pittore e compositore veneto Luigi Russolo. Eppure quando dal palco di Woodstock nel 1969 usò il suono distorto della sua chitarra elettrica per riprodurre il fragore dei bombardamenti aerei in Vietnam, eseguendo la sua versione dell'inno nazionale statunitense, fece qualcosa di molto simile al suono dell'"intonarumori" di Russolo, ideato oltre cinquant'anni prima.


«Gli "intonarumori" erano strumenti musicali innovativi» spiega Grazioli. «Ognuno era formato da un parallelepipedo di legno con un altoparlante inserito nella parte anteriore. All'interno c'erano lastre di metallo, ingranaggi e corde metalliche che venivano fatte vibrare dal suonatore, che poteva così produrre suoni classificati per famiglie.

Tra gli intonarumori c'erano crepitatori, gorgogliatori, rombatori, ronzatori, scoppiatori, sibilatori e ululatori».

C’è chi li considera anticipatori della nouvelle cuisine per l’attenzione che ebbero verso la presentazione artistica delle pietanze e per il coraggio sperimentale con cui osavano accostare i sapori dei cibi. Nella moda, invece, si cimentarono con invenzioni e trovate che rivoluzionarono il gusto borghese dei tempi.
Fu per esempio uno di loro a ideare la tuta da lavoro (la futura “tuta blu”) con tasche e cintura, nel 1919: il pittore, scultore e stilista Thayaht (pseudonimo del fiorentino Ernesto Michaelles) che aderì al futurismo nel 1918 dopo aver conosciuto Marinetti. Il prototipo della tuta risale probabilmente a un capo d’abbigliamento nato a fine ’700, ma Thayaht ne semplificò l’utilizzo e ne escogitò il nome: deriverebbe dalle lettere T, U e A che, combinate fra di loro, formavano l’indumento (oppure, secondo un’altra versione dello stesso Thayaht, da “tutta”, cioè “ottenuta tutta da un pezzo solo” o “che veste tutta la persona”).

Colorati. «La scelta di utilizzare colori aggressivi, tipica dei futuristi, ha avuto ripercussioni su tutta la moda successiva» aggiunge Grazioli. «Anche i tagli spigolosi che deformano geometricamente il corpo nelle collezioni di alcuni stilisti sono idee futuriste».

Giacomo Balla progettò un “abito futurista” e nel 1914 firmò un manifesto dal titolo Il vestito antineutrale, in cui dichiarava che gli abiti futuristi dovevano essere aggressivi, dinamici, semplici e comodi, igienici, gioiosi, illuminanti, volitivi, asimmetrici, di breve durata e variabili. Disegnò poi abiti, panciotti e cravatte da uomo e golfini, borsette e sciarpe da donna. Infine, inventò i “modificanti”: pezzi di stoffa ricamata e colorata che grazie a speciali bottoni si potevano applicare in qualsiasi parte del vestito, per rinnovare in modo continuo i propri abiti.


Azione! Chissà se l'artista Graziano Cecchini indossava "modificanti" quando nell'ottobre del 2007 finì sulle prime pagine dei giornali per quella che definì "azione futurista". Si era procurato un bidone di vernice rossa e mezzo milione di palline colorate: il primo lo svuotò nella fontana di Trevi, a Roma, le seconde, tre mesi dopo, le rovesciò dalla scalinata di Trinità dei Monti, lasciando che trasformassero piazza di Spagna in un tappeto di sfere multicolori. Dopo la performance Cecchini distribuì volantini con su scritto "Dal Rosso Trevi alla quadricromia, i fratelli d'Italia si son rotti le palle".

Niente di eversivo, avrebbe forse pensato Marinetti, ma, come nella migliore tradizione futurista, di sicuro impatto mediatico.

Anche la Russia ebbe il suo movimento futurista, contemporaneo a quello italiano. Nacque nel 1910, sotto la spinta del gruppo dei Budetljaniny (gli “Uomini del futuro”) e si affermò con il nome di cubofuturismo. Il più noto esponente fu il poeta e drammaturgo Vladimir Majakovskij. “Cantore della rivoluzione”, Majakovskij ebbe un atteggiamento ambivalente
e critico verso il nascente regime sovietico: tanto che nel 1930 finì per suicidarsi.
Anche se Marinetti fece visita ai “cugini” russi nel 1914, i due movimenti ebbero un’evoluzione indipendente. E questo nonostante alcune evidenti somiglianze: anche i futuristi russi, per esempio, declamavano per le strade i loro versi in abiti stravaganti (Majakovs-
kij indossava un abito a righe giallo e nero, da ape) e con il viso dipinto. La differenza principale fu il rifiuto, da parte dei russi (molti dei quali simpatizzanti comunisti), dell’individualismo e del nazionalismo che sfociò, per i colleghi italiani, nell’adesione al fascismo.

Rivoluzionari o reazionari? L'atto di nascita, il 20 febbraio 1909, fu la pubblicazione su Le Figaro del manifesto del movimento (anticipato il 5 febbraio sulla Gazzetta dell'Emilia) dove, in opposizione al "passatismo" della tradizione, si esaltavano una "vita spericolata", il mito della tecnologia, il culto del dinamismo e la guerra. Oltre ai pittori (Balla, Boccioni, Depero, Severini) furono protagonisti architetti (Sant'Elia), musicisti (Russolo) e scrittori (Marinetti, Papini e Soffici).

Col fascismo
Anche se in origine ebbe tendenze anarchiche, il movimento con la Prima guerra mondiale si schierò con gli interventisti e nella sua seconda fase (per gli storici, dal 1929) strinse legami, ancora oggi molto discussi, con il regime fascista di Mussolini, che adottò alcuni dei valori propagandati dal movimento, soprattutto quello della guerra intesa come "igiene del mondo".

8 giugno 2009
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