Auschwitz, la fabbrica di morte: produsse oltre un milione di vittime. Il 90% erano ebrei, ma tra quelle mura finirono anche polacchi, russi, Rom, Sinti, omosessuali e testimoni di Geova.
Il complesso includeva una serie di campi di concentramento e di lavoro che si trovavano nelle vicinanze di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), nel sud della Polonia. Oltre al campo originario (Auschwitz I) c'era il campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III) e altri 45 sottosezioni in cui i deportati venivano utilizzati per lavorare nelle industrie tedesche, Siemens e IgFarben in testa.
Fabbrica di morte. I primi deportati iniziarono ad arrivare già nel 1940. Giunti a destinazione, sotto gli occhi del "personale medico" delle SS, avveniva la prima tragica selezione: mediamente solo il 25% dei deportati era dichiarato abile al lavoro, il restante 75% (donne, bambini, anziani, madri con figli) era automaticamente condannato a morte.
I corvi neri. Nelle camere a gas, ad attenderli trovavano quelli che Primo Levi definì i "corvi neri del crematorio": i sonderkommandos, unità speciali di ebrei istituite per collaborare con le SS in cambio di un trattamento di favore.
Le loro testimonianze hanno permesso di ricostruire l'orrore: giunti qui, i detenuti venivano spogliati e introdotti in un locale camuffato da spogliatoio con tanto di descrizioni multilingue delle procedure per il recupero dei vestiti. Ai sonderkommandos spettava il compito di guidare le vittime nei forni e di recuperare vestiti e denti d'oro.
Shlomo Venezia era uno di loro. Le sue drammatiche testimonianze - come il racconto della neonata sopravvissuta al forno crematorio mentre la madre morta la stava allattando - raccontano solo in parte l'orrore della Shoah.
Così come gli appunti di un altro membro dei sonderkommandos di Auschwitz, Marcel Nadjiari: ebreo greco deportato nel lager fu costretto a collaborare con le SS e decise di scrivere di nascosto l'orrore che vedeva, tenendo gli appunti nascosti sotto la terra. Per oltre 70 anni nessuno riuscì a decifrare i suoi pensieri, rovinati dall'umidità. Solo nel 2017 grazie alle nuove tecnologie è stato possibile rileggere quelle parole strazianti: "avremmo dovuto prendere i corpi di donne e bambini innocenti e portarli all'ascensore che portava nella stanza con i forni dove i loro corpi sarebbero bruciati senza combustibile, a causa del loro grasso", si legge.
Abili al lavoro. I (pochi) prigionieri dichiarati abili al lavoro venivano invece spogliati, rasati e rivestiti di una casacca, un paio di pantaloni e un paio di zoccoli.
Sul loro avambraccio sinistro era tatuato un numero ed era associato un contrassegno colorato che identificava le diverse categorie di detenuti: ebrei, Rom, Sinti, testimoni di Geova, asociali, omosessuali, criminali e prigionieri politici.
Il loro compito da quel momento in poi era lavorare fino allo stremo delle forze per numerose ditte tedesche - tra cui la Siemens, la I.G.Farben (che produceva lo Zyklon B, il gas usato per lo sterminio) - o nelle cave, nell’agricoltura e nelle ditte legate all’industria bellica.
I blocchi. I campi erano organizzati in aree: c'era l'ospedale, la cucina, l'ufficio della Gestapo, la prigione, la zona riservata agli esperimenti e il reparto dei forni crematori.
Vicino c'erano le baracche dei deportati divisi tra uomini e donne, con letti a castello a tre piani (su cui dormivano ammassati più prigionieri), il lavatoio e le latrine.
Un deportato in queste condizioni, lavorando 12 ore al giorno, sottonutrito, sottoposto al freddo, alle malattie e alle violenze, resisteva in media sei mesi.
Chi comandava? A dirigere i lavori ad Auschwitz erano Rudolph Höss e altri membri delle SS: tutti dipendevano direttamente da Hitler, Himmler ed Eichmann. Al fianco di Hoss e delle SS operava un gruppo di medici, tra cui il famigerato dottor Mengele, che dopo la guerra riuscì a fuggire in Sud America senza scontare un solo giorno di pena. Ogni "quartiere" (o blocco) aveva poi un kapò (di solito scelto tra i detenuti comuni, non ebrei) che decideva le sorti degli internati.
shoah in ebraico significa desolazione, catastrofe, disastro
Manovalanza. Alcuni internati infine furono costretti a fare da manovalanza, senza avere ruoli decisionali. Come Jozef Paczynski, che diventò il barbiere personale di Rudolph Höss, o come Lale Sokulov scelto per diventare il tatuatore ufficiale di Auschwitz.
O ancora come Wilhelm Brasse, un internato polacco arrestato perché renitente all’arruolamento nella Wehrmacht e "promosso" a fotografo dei detenuti. Prima di lasciare Auschwitz nascose le sue pellicole, che nel 1945 finirono in mano agli uomini dell'Armata Rossa.
Il 27 gennaio 1945 il campo fu liberato con circa 7.000 prigionieri ancora in vita. Per loro ricominciava una nuova esistenza, ma il senso di colpa non li avrebbe più lasciati.
Come raccontò Primo Levi in I sommersi e i salvati (Einaudi): "Mi sentivo sì innocente, ma intruppato tra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti".