Storia

L'inferno della Shoah in Italia: dalle leggi razziali ai campi di sterminio

Nel Giorno della Memoria ricordiamo come venne attuata la Shoah in Italia. Il fascismo allontanò le comunità ebraiche, prima con le leggi razziali del 1938, poi dal 1943, con le deportazioni di massa.

La "soluzione finale" avviata dal nazismo contro gli ebrei venne attuata anche in Italia, complici il fascismo e la Repubblica sociale. In occasione del Giorno della Memoria ricordiamo quel tragico periodo della Storia del nostro Paese attraverso l'articolo "La Shoah italiana" di Roberto Roveda, pubblicato su Focus Storia in edicola.

Via dall'Italia! Le leggi razziali introdotte dal fascismo nel 1938 emarginarono gli ebrei dalla vita italiana, escludendoli da professioni, scuole, università ed esercito. All'inizio si trattò di una persecuzione che non mise fisicamente in pericolo i membri delle comunità ebraiche, anche se la linea di Mussolini risultò subito evidente. Il fascismo mirava all'emigrazione-espulsione e le misure antiebraiche (revoca o limitazione della possibilità di lavorare e istruirsi, in primo luogo) puntavano proprio a stimolare le partenze: entro il 1941 era espatriato circa l'8% dei circa 47mila ebrei italiani.

Tuttavia, nel giugno del 1943 Mussolini aveva già deciso di riunire gli ebrei validi in quattro campi di internamento e lavoro obbligatorio. E le vicende di luglio-settembre 1943, con la caduta del regime fascista, l'armistizio con gli Alleati e la creazione nel Centro-Nord della Repubblica sociale italiana (Rsi) – di fatto controllata dai tedeschi – diedero una drammatica svolta alle vicende della comunità ebraica.

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RASTRELLAMENTI. A farne le spese furono i poco più di 33mila ebrei italiani che nel settembre 1943 si trovavano nelle regioni del Centro-Nord controllate dalla Stato fantoccio di Mussolini, oppure nei territori amministrati direttamente dal comando militare tedesco: la Zona di operazione delle Prealpi (le province di Bolzano, Trento e Belluno) e la Zona di operazione del Litorale adriatico (Istria, Carniola, Trieste, Gorizia e Friuli). Per questi perseguitati il destino, fino alla Liberazione dell'aprile 1945, fu la clandestinità, l'ingresso nelle file dei partigiani, spesso la deportazione e la morte.

In prima battuta, dal settembre 1943, la persecuzione antiebraica fu affidata ai reparti delle SS e della Gestapo in Italia, coordinati da Theodor Dannecker, uno dei principali collaboratori di Himmler ed Eichmann nella cosiddetta "soluzione finale della questione ebraica". Si moltiplicarono rastrellamenti, eccidi (come quello, particolarmente efferato, di 57 ebrei sul Lago Maggiore) e il 16 ottobre si arrivò alla deportazione ad Auschwitz di 1.023 ebrei arrestati a Roma. Alla prima selezione che seguiva l'arrivo nel lager, la percentuale di quanti furono avviati subito alle camere a gas fu altissima: l'89% dei deportati, di cui oltre 200 bambini. Appena 15 tra gli ebrei romani fecero poi ritorno a casa. E quello fu solo il primo dei convogli italiani diretti ai campi di sterminio.

COLLABORAZIONISTI. In molti casi le forze di polizia e i carabinieri che non avevano scelto la fedeltà alla monarchia, oltre ovviamente alle milizie fasciste, affiancarono i tedeschi nelle operazioni. Ma durante gli ultimi mesi del 1943 le autorità fasciste misero a punto la persecuzione "in proprio" contro gli ebrei.

Il 14 novembre 1943, l'assemblea del nuovo Partito fascista repubblicano approvò infatti a Verona il manifesto programmatico, considerato l'atto costitutivo della Rsi. Al punto 7 si stabiliva che "gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica".

Lager all'italiana. In pratica, dal 1° dicembre 1943 i questori cominciarono a pianificare le operazioni di arresto degli ebrei da parte di polizia e carabinieri. E i prefetti, a capo delle province nella Repubblica sociale, avviarono l'allestimento di campi d'internamento provinciali dove raccogliere gli ebrei in attesa del loro trasferimento: la destinazione di chi finiva lì erano i campi di concentramento, lavoro forzato e sterminio nel Reich. I campi provinciali nei territori della Repubblica sociale italiana furono ben 29, allestiti in caserme, carceri, ville requisite, case di riposo e addirittura nelle sinagoghe, come avvenne a Ferrara.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

27 gennaio 2023 Focus.it
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