Charles Lindbergh è il discusso personaggio, che nel 1927, legò il suo nome alla prima trasvolata atlantica in solitaria. Un'impresa (anche) mediatica da scoprire attraverso l'articolo "Sulle ali della gloria" di Michele Scozzai, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Passione alata. Nato nel 1902 a Detroit da una famiglia benestante (padre avvocato, madre insegnante) e cresciuto nelle campagne del Minnesota, Charles mostrò fin da piccolo un'innata inclinazione per la meccanica. Iscrittosi nel 1920 alla facoltà di Ingegneria della facoltà del Wisconsin, abbandonò gli studi dopo due anni per dedicarsi alla sua vera passione: volare.
Il giovane Lindbergh, un ragazzone di un metro e 85 dal carattere schivo, trovò lavoro come pilota acrobatico, e nel 1924 iniziò a frequentare la scuola militare di San Antonio (Texas). Dodici mesi più tardi ottenne il brevetto e la compagnia aerea Robertson lo assunse come porta-lettere sulla rotta Saint-Louis Chicago.
Che vinca il migliore. Nel frattempo nel 1919, un magnate di origini francesi, Raimond Orteig, proprietario di una catena di alberghi in Nord America, aveva annunciato attraverso le pagine di un settimanale che avrebbe premiato con 25 mila dollari chi fosse riuscito a volare senza scalo da New York a Parigi. Per anni molti piloti tentarono l'impresa ma senza successo: i velivoli dell'epoca avevano ancora una tecnologia inadeguata a un viaggio così impegnativo.
Eppure, proprio nei mesi in cui fu messa in palio la somma, i piloti britannici John Alcock e Arthur Brown, a bordo di un bombardiere modificato, compirono la prima traversata atlantica della Storia, partendo sa Saint John's (a Terranova, sulle coste orientali del Canada) e raggiunsero l'Irlanda. Ma i loro sforzi, seppure ricompensati dalle autorità inglesi, ebbero scarsa eco mediatica. E non rispondevano ai requisiti di Orteig.
Sfida impossibile. Nel 1926 il premio attendeva ancora di essere riscosso e il 20 settembre di quell'anno a provarci fu l'asso francese René Paul Fonck: il suo trimotore, che i progettisti avrebbero voluto sperimentare per ancora qualche tempo, si cappottò in fase di decollo lungo la pista di Roosevelt Field (New York). L'aereo, stracarico di carburante, si incendiò e due dei quattro membri dell'equipaggio morirono. Fonck ne uscì vivo per miracolo. I tentativi per conquistare il bottino di Orteig, nonostante il rischio di pagare a caro prezzo la sfida, si moltiplicavano: il 18 maggio 1927altri due aviatori francesi, decollati da Parigi, si inabissarono nell'Oceano e non furono mai più ritrovati.
Tocca a Lindbergh. Presto venne il turno di Lindbergh, giovane e sconosciuto pilota che i media avevano dato per spacciato prima ancora della partenza.
«Lindbergh», dice Stefano Cosci, giornalista aerospaziale – e ufficiale dell'Aeronautica Militare, «aveva trovato alla Ryan Aeronautical di San Diego un progettista disposto a costruire un aereo secondo le proprie indicazioni, mentre a Saint Louis aveva convinto un gruppo di imprenditori a sponsorizzare il progetto. L'aereo, battezzato Spirit of St. Louis, in onore dei suoi finanziatori, aveva un solo motore da 223 cavalli, un'apertura alare di 14 metri, 8 metri di lunghezza, 3 di altezza e un peso al decollo di 2.330 chilogrammi».
Essenziale. L'aereo, costruito in tela con poche parti metalliche, costò circa 6mila dollari, a fronte di un finanziamento di 15mila:un budget risibile rispetto a quelli dei suoi concorrenti. La particolarità del velivolo, un esemplare unico, era l'enorme serbatoio collocato tra la cabina di pilotaggio e il motore. «Questo impediva a Lindbergh qualunque forma di visione frontale, costringendolo a una visione solo laterale: per guardare avanti, il pilota era costretto a usare una sorta di periscopio», spiega Cosci. «L'ex postino volante, poi, eliminò dallo Spirit of St. Louis tutto ciò che ritenne superfluo: radio, luci di navigazione e persino paracadute».
Sicurezza al minimo. Per tranquillizzare la famiglia caricò a bordo del velivolo un canotto acquistato di seconda mano, ben consapevole che in mezzo all'oceano non gli sarebbe stato di nessuna utilità. Dopo una settimana di continui rinvii a causa del maltempo, e con pochissime ore di collaudo alle spalle, alle 7:52 del 20 maggio 1927, in assenza di venti, Lindbergh decise di partire: la notte prima l'aveva trascorsa insonne e per aiutarsi a stare sveglio fece sostituire il sedile da pilota con una scomoda sedia di vimini.
In volo. Il Roosevelt Field, a causa delle piogge dei giorni precedenti, era ridotto a una gigantesca pozzanghera (gli aeroporti non erano ancora asfaltati: lo Spirit of St. Louis, circondato da una piccola folla di curiosi, avanzava lentamente e solo all'ultimo riuscì a sollevarsi da terra, sfiorando le cime degli alberi e i cavi della luce a fine pista. Con sé, Charles aveva qualche panino, un paio di bottiglie d'acqua, una bussola, una cartina geografica e 1.700 litri di benzina.
Adrenalinico. Dopo 12 ore di volo, avvolto in un fitto banco di nebbia, l'aereo cominciò a perdere quota per il ghiaccio formatosi sulle ali e sulla fusoliera: Lindbergh, digerito qualche attimo di esitazione, decise di proseguire. Navigava d'istinto, osservando la bussola e le stelle, ma senza conoscere la sua reale posizione.
Dopo 20 ore la visibilità migliorò: l'adrenalina lo teneva sveglio e, come avrebbe raccontato, non percepiva segni di stanchezza. Dopo 27 ore, i primi attacchi di sonno. Ma l'avvistamento delle coste dell'Irlanda lo ridestò: capì che il più era fatto.
Missione compiuta. Il 21 maggio, alle 10:22 della sera (ora locale) dopo 5.790 km, 33 ore, 30 minuti e 29 secondi di volo, lo Spirit of St. Louis atterrò all'aeroporto di Le Bourget, presso Parigi. L'impresa era compiuta. Lindbergh divenne il primo uomo della Storia ad aver attraversato in solitaria l'Atlantico in volo e anche il primo ad aver volato senza scali per così tanto tempo.
Uomo dell'anno. In Francia, oltre 150mila persone si riversarono lungo la pista di atterraggio. Un testimone dell'epoca racconterà in seguito alle telecamere della Rai: "La folla urlava, cantava, piangeva e quando finalmente l'aereo si avvicinò al pubblico ci fu qualche istante di silenzio. Fu un momento surreale. Lindbergh uscì dalla carlinga con estrema lentezza. Sembrava sorpreso da tanto clamore: L'aereo appariva danneggiato e tutti volevano tenersene un pezzo per ricordo. Il presidente francese a quel punto gli si avvicinò e, nonostante fosse molto più basso del pilota, lo abbracciò forte".
Colpo di fortuna? Il postino volante, per i giornali, divenne "Lucky Lindy" (Lindy il fortunato) o più comunemente, "Lone Eagle" (Aquila solitaria). Non ci fu mass media che non gli dedicò almeno una citazione. Il prestigioso Time lo scelse come "uomo dell'anno". Una volta rimessosi in sesto (non dormiva da 55 ore) Lindbergh disse: "Lo Spirit of St. Louis è una creatura vivente. Con lui ho condiviso esperienze, sentimenti, paure. Tra noi si è instaurata una forma di reciproca fedeltà. La trasvolata oceanica non è opera mia, ma nostra".
«Fino a quel momento si era risorso per lo più a idrovolanti», commenta Cosci. «Con il suo volo, Lindbergh attestò l'affidabilità di un aeroplano: diede prova che questi volivoli potevano diventare, anche per attraversare l'oceano, un valido mezzo di trasporto alternativo a quelli tradizionali. Ecco perché quel 1927, per l'aviazione mondiale, rappresentò un autentico spartiacque».
Nuova vita. A metà giugno Lucky Lindy fece ritorno in patria: il 16 incassò il premio di 25mila dollari, il 18 gli fu dedicata una parata lungo le strade di New York: 4 milioni di persone lo festeggiarono con 1.800 tonnellate di coriandoli. Sarebbe stato necessario aspettare il ritorno dalla Luna degli astronauti dell'Apollo 11, nel luglio 1969, per rivedere una scena analoga.
Per gli Usa era l'occasione per dimostrare al mondo la propria supremazia tecnologica: Lindbergh fu nominato colonnello e salì ai vertici della nascente industria aeronautica. Dalla Francia ricevette la Legion d'Onore e il suo patrimonio arrivò a mezzo milione di dollari.
La tragedia. Nel 1929 sposò l'ereditiera Anne Morrow e l'anno dopo nacque Charles Lindbergh Jr. Per l'aquila solitaria quell'evento gioioso avrebbe rappresentato l'inizio di una parabola discendente. Nel 1932 il bambino fu rapito e ucciso. E la vicenda, avvolta nel mistero, costrinse i coniugi Lindbergh a lasciare gli Usa per l'Inghilterra.
In odor di nazismo. Nel 1936 Lindbergh compì il suo primo viaggio in Germania per conto del governo statunitense. Doveva studiarne le potenzialità militari, ma conobbe Hitler e ne rimase affascinato. "È un grand'uomo", scriverà. Si trasferì a Berlino, dove fu insignito della stella dell'Ordine dell'Aquila Tedesca. Da quella volta non fece che spendersi per evitare che il suo Paese intervenisse contro la Germania, secondo Lindbergh unico baluardo contro l'avanzata sovietica: un'eventuale sconfitta tedesca, per lui, avrebbe comportato la fine della civiltà occidentale.
Osteggiato dall'opinione pubblica, accusato di antisemitismo, Lindbergh fu invitato dal presidente Roosevelt a restituire la decorazione nazista. Ma il pilota rifiutò, rinunciando al grado di colonnello ("Sarebbe inutile offesa alla leadership tedesca", si giustificò).
Riabilitato a stento. Dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor (1941) chiese di rientrare nell'aeronautica. Ma il comando Usa gli chiuse le porte in faccia. Solo nel '44, nel Pacifico, poté combattere contro i giapponesi, ma da consulente civile: partecipò a una cinquantina di missioni e contribuì a potenziare la flotta aerea.
Eroe incompreso. Nel 1945 Eisenhower lo riabilitò e Lindbergh divenne consulente della compagnia aerea PanAm, concorrendo allo sviluppo del Boeing 747. Negli ultimi anni della sua vita viaggiò molto, soprattutto in Africa, e si dedicò a una nuova sfida: la difesa degli animali in via di estinzione. Il 26 agosto 1974 morì di cancro nella sua casa alle Hawaii. Rimarrà uno degli eroi più acclamati, ma anche meno capiti, del Novecento.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?