Se a ricorrere a espedienti poco leciti per liberarsi del coniuge sono stati, nei secoli, soprattutto i mariti, nell'Italia del Seicento le mogli hanno potuto contare su una vera e propria serial killer di mariti indesiderati. Giulia Tofana, questo il suo nome, era una donna bellissima che viveva a Palermo in totale povertà: non aveva un marito ma aveva una figlia da mantenere. Fu così che un giorno decise di darsi al crimine e mise in commercio, perfezionandolo, un veleno utilizzato dalla zia per uccidere il suo consorte.
Per i mariti di troppo. Si trattava di un micidiale cocktail di arsenico, piombo e belladonna. Inventò così quella che poi è passata alla storia come Acqua Tofana, una pozione che l'affascinante palermitana, spacciandola per un cosmetico, vendeva alle mogli vessate dai mariti e desiderose di liberarsene.
Bastava infatti versare poche gocce al giorno di Acqua Tofana nella minestra o nelle bevande per provocare dopo un po' una morte apparentemente naturale, senza sintomi. E così Giulia Tofana vendette tantissime pozioni, fino a quando non fu tradita da una cliente maldestra che si fece scoprire dal marito. Per sfuggire a una condanna certa, la serial killer fu quindi costretta a fuggire a Roma, dove visse protetta dall'amante di turno con la figlia (e socia in affari) Girolama.
Ben 600 vittime. Passò poco tempo, però, che un'altra maritata infelice bussasse alla sua nuova porta persuadendola a rimettersi in affari. Che furono numerosi e lucrosi, ma durò poco: un'altra cliente distratta sbagliò dosaggio del micidiale veleno e, costretta dai parenti del malcapitato, fece il suo nome. La "serial killer dei mariti" fu così arrestata e infine giustiziata, nel 1659, a 39 anni, non prima di aver confessato, sotto tortura, di aver causato la morte di circa 600 uomini.