Storia

Rodolfo Valentino: come è nato il mito del latin lover italiano

Rodolfo Valentino, sbarcato negli Stati Uniti dalla Puglia, fu il primo attore italiano a sedurre Hollywood, fomentando la leggenda del latin lover.

Scopriamo come Rodolfo Valentino ha creato involontariamente il mito del seduttore italiano grazie all'articolo "Latin Lover" di Giuliana Rotondi, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Anni ruggenti. Se è vero, come disse con una punta di cinismo il poeta francese Baudelaire nell'Ottocento, che "la gloria è il risultato dell'adattamento di uno spirito alla stupidità nazionale", Rodolfo Guglielmi, in arte Rudy Valentino (1895-1926), seppe farsi interprete del fervore scatenato e disinibito che animò i ruggenti Anni '20. L'età del jazz, del charleston, dei grammofoni e dell'emancipazione femminile. Ma soprattutto del cinema e di Hollywood, fabbrica di sogni.

Icona pop. Italiano emigrato in America a soli 18 anni in cerca di fortuna, con il suo charme e i suoi capelli brillantinati si ritagliò un ruolo da divo in un mondo dove giganteggiavano i grandi del muto: Charlie Chaplin e Greta Garbo, per citarne solo due. Diventando l'icona del latin lover, complice lo sguardo magnetico, intenso e – anche a causa di un lieve strabismo – inafferrabile. Il suo fascino era ambivalente: riusciva a suscitare desiderio e allo stesso tempo istinto di protezione nelle donne, che impazzivano per lui. Nel cinema come nella vita, in un tango scatenato.

Una valigia di sogni. Originario di Castellaneta (Taranto), salpò per l'America dopo una breve esperienza come ballerino in Francia. Sapeva di ingrossare le file dei moltissimi "spaghetti" o "maccaroni", come Oltreoceano erano chiamati con diffidenza gli immigrati italiani. La stessa diffidenza riservata a chi era privo del pedigree dei cosiddetti wasp (white anglo-saxon protestants, i discendenti bianchi, anglosassoni e protestanti dei primi colonizzatori inglesi).

Rodolfo (Rudolph in versione a stelle e strisce) aveva però un asso da giocare: il fascino esotico, debordante di sentimento, sensualità e machismo. Era il candidato ideale a diventare il rappresentante all'estero del mascalzone latino. Lo studio system, l'insieme delle case di produzione americane, lo capì al volo. E in brevissimo tempo lo fece entrare nel novero delle star.

In pasto al pubblico. Fu la dimostrazione che c'era anche un'America aperta e tollerante, capace di integrare, seppure per creare divi a tavolino con i quali guadagnare molto denaro. «I rotocalchi svolgevano un ruolo determinante in questo meccanismo», spiega Giulia Carluccio, docente di Storia del cinema all'Università di Torino. «Photo play e Motion picture magazine – che riportavano i gossip sulle star – vendendo centinaia di migliaia di copie condizionavano il mercato delle case di produzione cinematografiche, determinando la fortuna o la sfortuna di un personaggio e favorendo la nascita dei fan club».

È nata una stella. Entrare in quel mondo poteva essere logorante, ma Rodolfo accettò la sfida sapendo che era l'unica opportunità per salire la scala sociale. Le regole del gioco gli furono chiare dopo che, nel 1913, sbarcò dal mercantile Cleveland e raggiunse New York. Per un brevissimo periodo fece lavoretti di fortuna, il cameriere e il giardiniere. Non erano mestieri per lui, ma gli servirono per capire come funzionava il mondo dello spettacolo e fare le giuste conoscenze.

Divenne taxi-dancer (l'accompagnatore a disposizione delle clienti nelle sale da ballo) al night-club Maxim's. Ebbe un paio di relazioni importanti con ballerine, dopodiché (nel 1917) si trasferì sulla costa occidentale degli Stati Uniti, a San Francisco in California, dove fu ingaggiato da una compagnia teatrale di operette. Fu una vecchia conoscenza newyorkese, l'attore Norman Kerry, a convincerlo ad andare a Hollywood. La meteora di Rudy iniziò il suo volo nel 1921: si spegnerà 5 anni anni dopo, ad appena 31 anni.

Sex symbol. Valentino divenne un sex symbol su scala mondiale ballando un tango conturbante (per quei tempi) sul set dei Quattro cavalieri dell'Apocalisse (1921). Passò rapidamente a ruoli da protagonista in film di ambientazione esotica: Lo sceicco (1921), Sangue e arena (1922), Il giovane rajah (1922), L'aquila (1925) e Il figlio dello sceicco, uscito postumo nel 1926.

Influencer. Il suo improvviso successo lanciò anche una moda, il look "alla Valentino": capelli brillantinati, sopracciglia depilate, orologio da polso (fino ad allora lo usavano solo le donne). «La vita privata contribuiva ad alimentare il suo mito: era un giovane amante delle notti folli, del lusso e del divertimento», racconta Silvio Alovisio, che con Giulia Carluccio ha curato il libro Intorno a Rodolfo Valentino (Kaplan). «Era il dandy europeo che piaceva all'America, e la sua casa hollywoodiana si riempì di oggetti d'arte, mobili antichi e di valore, armi, arazzi».

Ma il latin lover aveva anche – come molti grandi seduttori – un lato malinconico e inquieto. «Lo dimostrano le sue poesie e la corrispondenza con la madre, alla quale era legatissimo e a cui raccontò la fascinazione per l'America ma anche il senso di isolamento e nostalgia che talvolta lo attanagliava facendolo sentire solo e smarrito».

Icona gay. Qualcuno ha ipotizzato che il fascino malinconico di Rudy fosse legato alla sua omosessualità. Che seducesse le donne è un fatto. Ma gli uomini? Ai tempi, il suo aspetto ambiguo fu sottolineato malignamente dal quotidiano Chicago Tribune che lo soprannominò "piumino da cipria".

«Il dibattito tra gli storici è ancora aperto», precisa Giulia Carluccio. «Non ci sono documenti che attestino la sua omosessualità: solo rumors, pettegolezzi e dichiarazioni più o meno attendibili. Il mito della sua omosessualità si alimentò soprattutto dopo la morte quando presero a circolare i suoi presunti diari segreti, rivelatisi poi falsi. E si accrebbe dopo il 1958, quando Kenneth Anger pubblicò Hollywood Babilonia, un libro provocatorio che raccontava indiscrezioni sul mondo del cinema. Vi si alludeva a un vibratore regalato da Rodolfo Valentino a Ramón Novarro, suo rivale sul set e altro latin lover. Tutto falso, storicamente, ma queste suggestioni amplificarono il mito di un personaggio già leggendario».

Matrimonio lampo. Altrettanto leggendari furono i suoi burrascosi rapporti con le compagne di vita. Alla morte della madre, nel 1918, conobbe la sua prima moglie, Jean Acker, in occasione di una festa danzante a Los Angeles. I due si sposarono un anno dopo, ma fu un matrimonio lampo: dopo appena un mese si separarono, senza nemmeno aver consumato (dissero). Poco dopo, sul set di Camille (1921), Rodolfo incontrò Natacha Rambova, ballerina e costumista statunitense con nome d'arte simil-russo, destinata a diventare la seconda moglie.

Unione complicata. Otto giorni dopo il secondo matrimonio Rudy fu arrestato per bigamia: la legge californiana obbligava i divorziati a non risposarsi prima di un anno dalla sentenza. La coppia si vide annullato il matrimonio e solo l'anno seguente poté celebrare l'unione, che fu anche artistica. «Nonostante sia stata spesso descritta come un'arpia che manipolava Rodolfo per le proprie ambizioni, la Rambova voleva che il marito fosse valorizzato, interpretando personaggi di maggior spessore», commenta Alovisio. Valentino condusse di fatto una lotta in difesa della propria dignità artistica che lo mise in conflitto con la casa di produzione, la Paramount, stando oltre un anno lontano dal set prima di approdare alla United Artists, che vietò per contratto alla moglie di intervenire nelle scelte artistiche del marito. Così, i due si separarono.

Non gradito in Italia. Negli stessi anni il fenomeno Rudy, in ritardo rispetto al resto d'Europa dove l'attore era ormai osannato (specie in Inghilterra e in Francia), approdò in Italia. Nel 1925 Valentino fece un viaggio nel suo Paese d'origine, chiedendo a Mussolini di essere ricevuto. Il duce rifiutò. La contemporanea decisione di Rudy di chiedere la naturalizzazione americana, nell'Italia fascista e nazionalista non fu priva di conseguenze: i giornali montarono una campagna diffamatoria ("Rodolfo Valentino è stanco d'essere italiano?" titolò Il Tevere) che provocò risse nei cinema e volantinaggi contro il "traditore della patria".

Che inaugurò così il suo ultimo anno di vita.

Morte prematura. Logorato da eccessi e pressioni degli studios, fu colpito da appendicite. Per di più fu vittima di quella che oggi definiremmo malasanità. L'infiammazione degenerò in peritonite che non fu ben curata e il 23 agosto 1926 Rudy morì. «Lo choc fu talmente grande che circolarono voci incontrollate su quella morte: si parlò di omicidio, si fecero allusioni alla mafia ipotizzando che potesse averlo ucciso il marito di una sua amante. In realtà si trattò di una più prosaica setticemia», conclude Alovisio. I giornali (non solo quelli di gossip) a lungo non parlarono d'altro.

Leggenda. Il "lutto mediatico" era proporzionato all'importanza acquisita dall'industria cinematografica. Si parlò persino di suicidi tra le fan. In verità ci fu un solo caso, a Londra: una donna trovata morta nel suo letto con le foto di Valentino. L'anno successivo, l'avvento del sonoro avrebbe spedito sul viale del tramonto molti rivali di Rudy. Ma lui, con la sua quarantina di film, era già entrato nel mito.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

6 maggio 2023 Paola Panigas
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