A Parigi, la rivoluzione scoppiò il 14 luglio con la presa della Bastiglia, ma l'evento epocale che cambiò la Francia (e il resto del mondo) arrivò con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, vediamo perché attraverso l'articolo "La madre delle rivoluzioni" di Massimo Manzo, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Data fatidica? Parigi, 14 luglio 1789: il carcere della Bastiglia viene assalito da una folla inferocita. E la data diventa l'incubo di generazioni di studenti durante le interrogazioni di Storia. La "famosa" presa della Bastiglia, emblema della Rivoluzione francese, fu però un fatto marginale. La svolta epocale avvenne poco più di sei settimane dopo, il 26 agosto 1789, quando fu sancita la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, enunciazione delle libertà fondamentali (di pensiero, parola e stampa) e di principi come l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, che poi si ritrovarono nelle costituzioni successive, compresa la nostra.
Qualcosa si muove. Facciamo un passo indietro. I disordini a Parigi erano già scoppiati alcuni giorni prima del 14 luglio ma quell'ingombrante bastione (con dentro appena sette prigionieri) andava abbattuto. Rappresentava infatti l'Ancien régime, causa prima di tutte le frustrazioni dei francesi: la voglia di giustizia, una crisi economica che affamava il Paese, un re scomodo.
Nella prima metà del XVIII secolo, la Francia aveva ancora un sistema politico bloccato: il sovrano incarnava la nazione, detenendo nelle sue mani i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario "per grazia di Dio", e come nel Medioevo possedeva persino poteri taumaturgici, che lo rendevano capace di guarire i malati in forza della propria legittimazione divina.
La Festa delle federazione. Già un anno dopo la presa della Bastiglia, il 14 luglio 1790, i parigini celebrarono la ricorrenza istituendo la Festa della federazione. Trecentomila persone assistettero alla processione di 50mila uomini armati e alla messa celebrata da 300 preti sull'altare della patria, con il re che giurò fedeltà alla nazione. Quella festa – a metà tra rito cristiano e solennità laica – fu la prima in cui tutto il popolo francese, provincie incluse, festeggiava se stesso. Era nato un simbolo.
Liberi tutti. Che cosa aveva provocato quella violenta sfida al potere regio? «Si era verificata la convergenza di tre fattori: una crisi di lungo periodo, un crollo finanziario che mise in ginocchio lo Stato e infine una tremenda carestia, che fu l'evento scatenante», spiega Haim Burstin, docente di Storia moderna all'Università di Milano-Bicocca.
«Ma non bisogna pensare che la rivoluzione fosse causata solo dalla miseria: fu il contesto complessivo che rese quel malessere intollerabile».
Punto di non ritorno. Dopo aver tentato di uscire dall'irrilevanza alla quale l'avevano confinato il clero e l'aristocrazia negli Stati Generali, il Terzo stato (rappresentante dei ceti non privilegiati) si autoproclamò Assemblea nazionale costituente, mentre nelle strade il popolo era in subbuglio. Il 26 agosto ne uscì la dichiarazione che sancì il pieno diritto di "parlare, scrivere, stampare liberamente", mettendo in moto un ingranaggio che nell'arco di pochi mesi portò alla nascita di 250 nuove testate.
La libertà personale e l'uguaglianza di fronte alle leggi divennero i cardini della nuova Francia e di una nuova idea di Stato sanciti da uno dei principi secondo cui "gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti". Con un colpo di spugna, i privilegi feudali furono aboliti e le proprietà ecclesiastiche sequestrate. Il nuovo mondo stava nascendo all'insegna del rovesciamento dei ruoli e della rivincita sul passato. Volendo fare tabula rasa, gli uomini che avevano in mano la rivoluzione puntarono a costruire una nuova mentalità comune, insieme a una nuova forma di Stato.
Manifesto intellettuale. La società stava cambiando: il grande sviluppo economico aveva portato all'ascesa di un ceto borghese con valori divergenti da quelli dell'aristocrazia e del clero, basati sull'individualismo e sulla libertà dei commerci. Il suo manifesto intellettuale divenne l'Encyclopédie, un'opera monumentale che racchiudeva tutto il sapere dell'epoca esprimendo una rinnovata fiducia nella ragione e rigettando le superstizioni del passato.
In questo clima, non c'era più posto per il potere illimitato e "divino" del re. Ma se era stato relativamente facile rovesciare l'autorità regia, più difficile era mettere in piedi un nuovo governo. Giuristi come Montesquieu teorizzarono una nuova idea di monarchia costituzionale basata sulla separazione tra i poteri, mentre filosofi come Jean-Jacques Rousseau introdussero il concetto di "sovranità", secondo cui l'autorità dello Stato proveniva non da Dio ma dal popolo, che la esprimeva attraverso il voto.
Separazione dei poteri. La successiva Costituzione del 1791 separò nettamente i tre poteri dello Stato prima riuniti nella figura del sovrano. La funzione legislativa finì ai 745 deputati dell'Assemblea e quella giudiziaria a una magistratura indipendente, mentre il re manteneva il potere di nominare o revocare i ministri e porre il veto alle leggi. Il suffragio, invece, fu riservato solo agli uomini maggiori di 25 anni (le donne ne erano escluse) e limitato per censo.
«Sulle prerogative del re si giocò una partita delicata, che avrebbe portato in seguito a un violento scontro tra Assemblea, sovrano e opinione pubblica e, infine, alla caduta della monarchia e alla successiva proclamazione della repubblica», spiega Haim Burstin.
C'era una volta in America. Ma il 1789 segnò davvero la prima incarnazione politica dei principi illuministi? Non proprio. Dall'altra parte dell'oceano Atlantico, il mondo aveva visto qualcosa di simile già nel 1776, quando nella Dichiarazione d'Indipendenza i rappresentanti delle 13 colonie britanniche del Nord America avevano affermato che "tutti gli uomini sono creati uguali e dotati dal proprio creatore di alcuni inalienabili diritti tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità…", costruendo nel 1787 una repubblica basata sulla divisione dei poteri.
Sperimentazione politica. «Tuttavia, la situazione americana era diversa: lì non c'erano né un regime assolutistico vecchio di centinaia d'anni, né una nobiltà e un clero tanto forti da entrare in competizione con lo Stato», chiarisce l'esperto. "Copiati" o meno che fossero, nel corso degli eventi successivi al 1789 molti degli ideali rivoluzionari furono disattesi, dai diritti umani calpestati negli anni del Terrore giacobino (1793-1794) in cui la ghigliottina calò sulla testa di molti innocenti (e persino del re e della regina) alla questione della schiavitù nelle colonie, abolita nel 1794 ma reintrodotta nel 1802 da Napoleone. In seguito si disse che la rivoluzione aveva tradito se stessa. «Si tratta di un giudizio semplicistico: nelle rivoluzioni giocano forze di azione e reazione e sia il Terrore sia Napoleone fanno parte di questa logica. In tal senso, la rivoluzione nel suo complesso fu uno straordinario laboratorio di sperimentazione politica», dice l'esperto.
Come un'epidemia. I regnanti europei capirono presto che i loro troni avrebbero traballato. A Vienna, San Pietroburgo, Londra e Berlino, l'imposizione della monarchia costituzionale in Francia venne considerata un atto di lesa maestà, facendo tremare anche la Chiesa di Roma. Dopo quasi un ventennio di sanguinose guerre, con il Congresso di Vienna del 1815 le potenze assolutiste riusciranno a restaurare l'antico ordine.
Illuminismo. Ma l'impronta del 1789 era ormai indelebile, e le conquiste di quell'anno divennero l'essenza dei sistemi democratici. A partire dai termini "destra" e "sinistra", mutuati dalla collocazione dei deputati nell'Assemblea nazionale, fino alle libertà di opinione, riunione e credo, passando per la struttura delle moderne istituzioni democratiche e la divisione dei poteri. Da allora, l'opinione pubblica non fu più disposta a subire i soprusi, divenendo, nel bene e nel male, artefice del proprio destino.
Lo capì bene l'ambasciatore veneziano alla corte di Francia, Antonio Capello, che cinque giorni dopo il 26 agosto 1789, assisteva preoccupato ai lavori dell'Assemblea nazionale: "La libertà ora ha invaso li spiriti francesi. Questa parola è stata sempre il pretesto di tutti li attentati contro l'autorità legittima […] faccia il cielo che questo male epidemico maggiormente non si dilati". Il "male epidemico" temuto da Capello fu davvero inarrestabile.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?