L'11 gennaio 2018, nello stato americano del Mississippi, muore in carcere Edgar Ray Killen, leader del Ku Klux Klan locale ed ex predicatore battista. Con la sua fine si chiude definitivamente una delle pagine più buie dell'America segregazionista. Killen, ormai ultranovantenne, stava scontando una pena a 60 anni nel penitenziario di Parchman per l'omicidio di tre giovani attivisti per i diritti civili, avvenuto nel 1964. Il caso era diventato famoso in tutto il mondo alla fine degli anni Ottanta, grazie al pluripremiato film Mississippi Burning. Le radici dell'odio, del regista Alan Parker.
Pochi mesi prima, a Washington, davanti a una folla oceanica, il reverendo Martin Luther King esordiva con queste parole il suo I have a dream (ho un sogno), uno dei discorsi più famosi e potenti della Storia: «Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla Storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro Paese». Il Ku Klux Klan non aveva tardato a fare arrivare la sua risposta.
Già all'epoca dei fatti la vicenda aveva indignato profondamente l'opinione pubblica degli Stati Uniti, segnando uno spartiacque decisivo nella battaglia per i diritti civili dei neri d'America. Subito dopo l'omicidio, il presidente Lyndon B. Johnson firmò il Civil Rights Act, una legge che dichiarava illegale la segregazione razziale nelle scuole, nei posti di lavoro e nelle strutture pubbliche, e cancellava le disparità di registrazione nelle elezioni.
i diritti civili degli afroamericani. Il movimento per i diritti civili aveva lanciato alcune settimane prima, nel giugno del 1964, una delle sue campagne più famose: la Freedom Summer, per garantire il diritto di voto alla comunità nera e promuovere le scuole aperte ai cittadini afroamericani. Era una sfida coraggiosa alla durissima segregazione razziale ancora in vigore negli Stati del Sud. Nel Mississippi, in particolare, la situazione era diventata incandescente dopo la sentenza della Corte Suprema che due anni prima aveva finalmente garantito anche ai giovani afroamericani la possibilità di frequentare scuole e università.
vile agguato. Il 21 giugno del 1964 tre attivisti per i diritti civili poco più che ventenni – James Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwerner – erano arrivati nella contea di Neshoba, nel Mississippi, per indagare sull'incendio doloso di una chiesa e per convincere gli afroamericani a iscriversi nei registri elettorali. Era un luogo molto pericoloso per i neri e per chiunque si battesse contro il segregazionismo perché sia lo sceriffo della contea, Lawrence Rainey, sia il suo vice, Cecil Price, erano membri segreti del Ku Klux Klan.
Fu proprio Price a fermare i tre giovani con un pretesto, sostenendo che avevano oltrepassato il limite di velocità su una strada della contea. Portati in cella e multati, gli attivisti vennero rilasciati nel cuore della notte, ma la loro auto venne seguita da due macchine dei membri del Klan, che li costrinsero a fermarsi. Goodman e Schwerner furono immediatamente freddati a colpi di pistola mentre Chaney – l'unico nero del gruppo – fu picchiato a morte.
FBI: le indagini. Poi i loro corpi vennero bruciati e sotterrati con un bulldozer. I tre giovani furono inizialmente dati per dispersi, e l'Fbi iniziò a indagare sulla loro scomparsa setacciando palmo a palmo la contea. I resti furono ritrovati sei settimane dopo in un bacino idrico, non lontano dal luogo del triplice omicidio.
«Il caso ebbe una risonanza straordinaria», spiega Bruno Cartosio, docente di Storia dell'America del Nord all'Università di Bergamo, «perché le vittime furono tre ragazzi della classe media del Nord del Paese, un bianco, uno nero e un ebreo, ed erano quindi assai rappresentativi dei giovani che si mobilitarono in quei mesi. Il loro assassinio provocò uno scandalo enorme e in un certo senso aprì gli occhi a quell'ampia fetta di opinione pubblica che fino ad allora si era voltata dall'altra parte di fronte a fatti gravissimi. Purtroppo, però, quello del Mississippi non sarebbe stato l'ultimo caso simile che si verificò in quegli anni a opera dei membri del Ku Klux Klan».
Robert Kennedy, all'epoca ministro della Giustizia, inviò sul posto una squadra - alla quale era stato dato il nome in codice Mississippi Burning - che chiarì che l'imboscata era stata organizzata da tempo dallo sceriffo e dai suoi complici, d'intesa con il predicatore battista Edgar Ray Killen, a capo della cellula locale del Kkk. Un giudice della contea cercò di far cadere le accuse nei loro confronti, ma il tentativo di insabbiamento fu bloccato dalla Corte suprema. Alla fine furono arrestate 18 persone tra cui lo stesso Killen, considerato il mandante dell'omicidio, oltre ad alcuni agenti di polizia. E nel 1967 otto uomini furono condannati a pene detentive tra i tre e i dieci anni, mentre il procedimento a carico di Killen venne sospeso perché i giurati non ritennero di poter incriminare un religioso.
«Il buon motivo per gioire e fu l'approvazione del Civil Rights Act, sull'onda emotiva dell'omicidio dei tre giovani», prosegue Cartosio, autore di I lunghi anni Sessanta. Movimenti sociali e cultura politica negli Stati Uniti (Feltrinelli), un volume che ricostruisce la storia di quegli anni turbolenti.
«Va però ricordato che il presidente Johnson era da tempo favorevole a una legge per i diritti civili e credo che gliene vada riconosciuto il merito, poiché sapeva benissimo che appoggiando le rivendicazioni dei neri avrebbe perso molti voti negli Stati del Sud come dimostrarono poi le elezioni presidenziali del 1968. Ma agì comunque, perché era convinto che fosse la cosa giusta da fare».
L'assassinio dei tre attivisti finì presto nel dimenticatoio e la giustizia si rimise in moto solo molti anni dopo. A riportare l'attenzione sul caso contribuì anche il film di Alan Parker, interpretato da Gene Hackman e Willem Dafoe. Uscito nel 1988, Mississippi Burning fu un vero e proprio caso cinematografico. «Sicuramente ha contribuito anche quel film, ma non credo che abbia avuto un impatto davvero decisivo», conclude Cartosio. «In quegli stessi anni riprese infatti anche il lavoro giudiziario su altri attentati, come quello alla chiesa di Montgomery del 1963, e vi fu un'evoluzione all'interno della comunità nera e dell'opinione pubblica statunitense, senza scordare le grandi campagne del reverendo Jesse Jackson alle presidenziali del 1984 e del 1988».
Finalmente giustizia. Alcuni anni più tardi la polizia entrò in possesso di nuove prove che consentirono la riapertura del procedimento a carico di Edgar Ray Killen. Ormai anziano, l'ex leader del Ku Klux Klan fu processato di nuovo alla Corte di Filadelfia. Stavolta la pubblica accusa sostenne che era stato lui a organizzare il commando omicida e a pianificare l'attentato nei minimi dettagli, anche se non aveva partecipato direttamente all'assassinio dei tre attivisti. Il 21 giugno 2005, ben 41 anni dopo l'eccidio, una giuria composta da nove bianchi e tre neri condannò il religioso a 60 anni di carcere.
Killen non ha mai mostrato pentimento per le sue idee razziste, né per la morte dei tre. Anzi, dichiarò di essere un prigioniero politico, sostenendo che nessuna giuria formata da suoi coetanei lo avrebbe mai giudicato colpevole. Nel 2007 la sua richiesta di appello fu respinta definitivamente dalla Corte suprema del Mississippi. Così il leader razzista trascorse il resto della vita in prigione. E lì è morto pochi giorni prima del suo 93esimo compleanno.